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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2012 alle ore 13:49.

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Il capitano del Manchester City, Vincent Kompany (a destra) con il trofeo della Premier League, festeggia insieme al tecnico Roberto Mancini (al centro) e a Mario Balotelli (AP Photo)Il capitano del Manchester City, Vincent Kompany (a destra) con il trofeo della Premier League, festeggia insieme al tecnico Roberto Mancini (al centro) e a Mario Balotelli (AP Photo)

L'immagine strappa il sorriso. Adriano Galliani, intervistato da Enrico Varriale a Stadio Sprint nel dopo gara di Milan-Novara, viene interrotto un paio di volte da voci che gli suggeriscono che è stata centrata l'impresa che vale la storia. Sì, il Manchester City di Roberto Mancini è riuscito a vincere la Premier League al 94° di una partita estenuante e avvincente al limite delle palpitazioni. L'uomo mercato dei rossoneri insegue da tempo l'idea di riportare Balotelli in Italia per fargli vestire la casacca del Diavolo e la vittoria del City forse può cambiare qualcosa nelle strategie del prossimo mercato.

A dire il vero, Mancini aveva già fatto suo il campionato inglese la scorsa settimana, riuscendo a incassare tre punti sul campo difficilissimo del Newcastle, quinto in classifica. Con i cugini dello United a pari punti, non si poteva fare diversamente. Era necessario vincere e magari sperare in un passo falso dei giocatori di Ferguson, che avevano mancato il match point decisivo nello scontro diretto di due settimane fa. Detto, fatto. A Newcastle era andata benissimo. Per concludere l'opera e alzare al cielo il trofeo che a Manchester, sponda City, mancava da 44 anni, era sufficiente battere il Queens Park Rangers dell'ex laziale Cissè, che si giocava però la permanenza in Premier e che proprio per questo non poteva essere affrontato con sufficienza.

Bene, al 91° dell'incontro che troverà sicuramente uno spazio di tutto rispetto nella memoria degli appassionati del calcio inglese e non solo, il QPR vinceva 2 a 1. E in dieci, perché al 55° Joey Barton era stato espulso per una doppia scaramuccia con Tevez e Aguero. Sugli spalti, lacrime e disperazione per uno scudetto che sembrava ormai cosa fatta e che invece, istante dopo istante, si faceva sempre più distante. QPR salvo e United in gloria. Perché la vittoria in trasferta ai danni del Sunderland permetteva agli uomini di Sir Ferguson di gioire oltremisura. Poi, il calcio che non ti aspetti e che proprio per fatti come questo ti fa innamorare sempre di più.

Minuto 91 e 15 secondi. Silva batte il calcio d'angolo numero 19 della partita per il City, che tenta in extremis l'assalto all'arma bianca per riacciuffare il risultato e sperare nel miracolo. Il pallone incrocia la testa di Dzeko, che insacca tra la sorpresa generale. Rete, 2-2, l'Etihad Stadium riprende forma e colore, l'entusiasmo è a mille, la speranza forse di più. Siamo nel recupero, tempo una manciata di secondi e la gara finisce. Per vincere la Premier però, non basta il pareggio, bisogna uscire dal campo con tre punti.

Passano due minuti o poco più e prende forma l'incredibile. L'argentino Aguero, ex stella dell'Atletico Madrid, riceve il pallone e compie l'impresa. Salta con una facilità disarmante un paio di avversari e spara verso il portiere, che sfiora ma non trattiene. 3 a 2, City campione d'Inghilterra e United senza parole, prossimo alle lacrime. Mancini ha centrato il traguardo che cambia le gerarchie del calcio britannico. E che probabilmente vale all'ex tecnico dell'Inter una riconferma ricchissima. A proposito, fa festa anche il QPR, che rimane in Premier grazie al pareggio del Bolton, diretta avversaria per la lotta salvezza.

Mancini è stato bravissimo. Ha condotto in porto una nave sulla quale erano presenti grandi interpreti del calcio internazionale (i nomi sono tanti, da Yaya Tourè ad Aguero, da Dzeko a Balotelli, passando per Tevez e David Silva, soltanto per citare i più noti), ma che proprio per questo rischiava di raccogliere acqua ad ogni onda. Fuori dalla Champions e dall'Europa League a causa di prestazioni così così, in Premier si è giocato il tutto per tutto. Avesse perso il titolo, il suo posto sarebbe stato messo seriamente in discussione. Con la vittoria, invece, è un'altra cosa. Mancini ha conquistato l'Inghilterra, come Capello, come Di Matteo, che ha preso per mano il Chelsea e l'ha portato alla finale di Champions. Italians do it better, verrebbe da dire. Ma parlar bene di se stessi non è quasi mai un buon esercizio di stile.

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