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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2012 alle ore 16:37.

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Chi dopo Ross Levinsohn, il manager che Yahoo! ha nominato Ceo ad interim dopo il triste epilogo dell'avventura di Scott Thompson – solo quattro i mesi della sua gestione - alla guida della compagnia californiana? Oppure l'insediamento di Levinsohn sarà duraturo? Certo è che la poltrona di una compagnia il cui ultimo terremoto societario – le dimissioni "necessarie" dell'ormai già ex amministratore delegato fanno pendant con quelle di Roy Bostock (storico presidente del Board, ora sostituito nel ruolo da Fred Amoroso), Patti Hart, VJ Joshi, Arthur Kern e Gary Wilson dal consiglio di amministrazione – è l'ennesima scivolata verso il basso di uno dei marchi più popolari del pianeta ai tempi della net economy è una poltrona che scotta.

La questione riecheggia con insistenza dagli Usa e non tanto perchè vi siano possibilità che alla guida della società possa aspirare Daniel Loeb, l'azionista a capo del fondo (Third Point, che ha il 5,8% delle azioni della casa di Sunnyvale) che ha di fatto scoperto gli scheletri nell'armadio (la laurea fasulla) di Thompson costringendolo ad abbandonare. Loeb, casomai, chiuderà in via amichevole la prossima settimana la battaglia legale avviata contro gli ex rappresentanti del Board e si è già dichiarato a disposizione del nuovo management per contribuire a ridare nuovo slancio alle attività della compagnia.

L'interrogativo della comunità finanziaria e degli addetti ai lavori è grande perché gli ultimi tre Ceo di Yahoo - Jerry Yang (dal 2007 al 2009, e sul co-fondatore grava il peso del gran rifiuto all'offerta da 44,6 miliardi di dollari messa sul tavolo da Microsoft nel 2008), Carol Bartz (dal 2009 al 2011) e per ultimo Scott Thompson - hanno per motivi diversi fallito il loro compito. E prima di loro non era andata molto meglio, causa grossolani errori di strategia a loro imputabili, a Tim Koogle (che investì miliardi per comprare Broadcast.com e Geocities) e Terry Semel, rispettivamente alla guida dell'azienda dal 1995 al 2001 e dal 2007 al 2011. Riuscirà Levinsohn ad invertire la negativa tendenza partendo dalle sue competenze in campo pubblicitario?

A differenza del suo predecessore, il nuovo Ceo ha più radicati "skill" nell'ambito dei media digitali – più una creatura di Hollywood che non della Silicon Valley, fanno notare in tal senso i siti Usa – e questo grazie al suo lungo operato professionale alla Fox Interactive Media (gruppo News Corp) Fox Interactive Media e in altre media company come CBS Sportsline e HBO. Nel suo curriculum spicca inoltre la qualifica di general manager dei new media in AltaVista, lo storico motore di ricerca per era Google. Il background di Levinsohn, assicura chi conosce bene il mondo Yahoo, è quindi in totale sintonia con l'azionista "dissidente" e gli altri due neo membri del Board suoi alleati nella crociata contro Bostock.

Levinsohn è manager che ha gestito operazioni e accordi importanti, vedi l'acquisizione di MySpace ad opera di Rupert Murdoch nel 2005 (per oltre 580 milioni di dollari) e il primo importante accordo sul fronte dell'advertising stipulato dalla stessa MySpace con Google. Certo il suo destino non è stato brillante (MySpace è stata svenduta da New's Corp l'anno passato per circa 50 milioni) ma prima dell'esplosione di Facebook era suo il titolo di social network più diffuso e utilizzato al mondo, con un valore di capitalizzazione stimato di circa due miliardi di dollari. Arrivato in Yahoo a fine 2010, nominato dal Ceo come capo delle attività dell'azienda nelle Americhe, ha preso poi in mano tutto il business legato alla pubblicità.

Se oggi Levinsohn sia ancora dell'idea che Yahoo sia un "gioiello inutilizzato" e una "incredibile piattaforma" e che la compagnia "abbia un business che molte aziende dell'universo Internet morirebbero per avere" non è dato a sapersi. La sensazione è che l'azienda californiana non poteva finire (almeno per il momento) in mani migliori. Che poi il nuovo Ceo sia in grado di risollevare le sorti della compagnia e riportarla ai fasti del passato, scongiurando l'ipotesi di spezzatino degli asset (Yahoo! possiede ancora il 40% della cinese Alibaba) più volte ventilata in questi mesi, è tutto da verificare.

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