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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2012 alle ore 06:39.

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LONDRA. Dal nostro corrispondente
Il reato è da ergastolo, ma di solito i condannati se la cavano con un paio d'anni. I più fortunati pochi mesi. Rebekah Brooks, ex ceo di News International, fianco britannico delle attività editoriali di NewsCorp holding dei Murdoch, ed ex direttore di Sun e News of The World, spera nell'assoluzione con formula piena insieme con il marito Charles e altri cinque indagati.
Segretarie, autisti, addetti alla sicurezza è questa la banda che la rossa Rebekah avrebbe messo insieme, precipitosamente, fra il 6 e il 19 luglio per distruggere indizi che avrebbero avvicinato il suo nome e quello del management del gruppo editoriale allo scandalo sulle intercettazioni effettuate dai cronisti del News of The World.
È giunta, attesa, l'incriminazione ufficiale per inquinamento delle prove, ovvero per aver dirottato il corso della giustizia, che sarebbe avvenuto distruggendo computer, portando via sei casse di documenti, manomettendo files. Tutto nei caotici giorni del luglio 2011 quando crollava l'euro, montava lo scandalo News of The World e precipitava il sogno di Rupert Murdoch di mettere le mani su BSkyB. Fino a dissolversi del tutto, per volontà dell'editore che decise di rinunciare all'acquisizione delle pay tv destinata, nei suoi progetti, ad essere consolidata in NewsCorp. Il piano, cullato per molti anni, fu distrutto per quel giornalismo libertino che spalancava l'irrisolto sospetto di una trama fatta di relazioni pericolose fra politica e informazione.
In quei giorni, secondo gli inquirenti, Rebekah e Charles Brooks, con una piccola corte al seguito, avrebbero fatto di tutto per far sparire le proprie tracce dalla documentazione aziendale. Per quel comportamento Rebekah era stata brevemente arrestata, ma non era certo che sarebbe seguita l'incriminazione ufficiale. La fase istruttoria ha invece convinto gli inquirenti e il 13 giugno, Rebekah e compagni appariranno in tribunale.
L'accusa è grave e gli imputati hanno reagito con rabbia. «Sono stati mobilitati - ha detto Charles Brooks - 172 agenti di Scotland Yard l'equivalente di otto nuclei della squadra omicidi per sostenere queste ingiuste e deboli accuse. Sono preoccupato non certo per me, ma per la caccia alle streghe che è stata scatenata contro mia moglie». Secca anche Rebekah, apparsa indignata per il coinvolgimento del marito, ma determinata a dar battaglia in tribunale nella certezza che prima della storia la assolverà la cronaca.
L'affondo delle autorità inglesi nel caso intercettazioni telefoniche si fa davvero sentire, soprattutto perché si muove in parallelo con l'indagine conoscitiva della Commissione Leveson sui rapporti fra media e politica. Un'indagine che ha visto sfilare Rupert e James Murdoch e qualche giorno fa anche la rossa giornalista-manager del gruppo editoriale. Testimonianze che hanno gettato una luce equivoca sulle relazioni fra NewsCorp e il Governo di David Cameron. Di quella liaison la grande depositaria era Rebekah considerata anello di congiunzione fra l'editore australiano (di nascita essendo ormai cittadino americano) e David Cameron amico d'infanzia negli augusti banchi di Eton di suo marito Charles. Anche di questo, seppure indirettamente, si parlerà al processo, con rinnovato imbarazzo, crediamo, del premier britannico.
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