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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2012 alle ore 07:54.

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La Grecia non uscirà dall'euro, l'unione monetaria europea non andrà al collasso e il rischio della disgregazione della moneta unica si allontanerà. A scommettere su questo pronostico, senza l'ausilio di una magica sfera di cristallo ma basandosi su un mix di numeri, proiezioni, deduzioni logiche e una qualche dose di ottimismo, sono i mercati stessi. Non all'unanimità ma in buona, larga anche se non larghissima, misura.

Stando al recente andamento del cambio euro/dollaro e dello spread tra i titoli di Stato di Francia, Italia, Spagna da un lato e Germania dall'altro lato, sul mercato pesa ancora in maniera importante la tesi che prevede la permanenza della Grecia nell'euro: la moneta unica sarebbe crollata più violentemente, il gap tra Paesi "core" e periferici sarebbe peggiorato in maniera più drammatica se gli speculatori catastrofisti avessero avuto la meglio. La potenza di fuoco congiunta di Bce, Fmi, Efsf e Esm è ancora un deterrente.

Che l'Eurozona stia barcollando sull'orlo di un precipizio, dovuto a un ipotetico abbandono della Grecia dal progetto dell'euro, è indubbio: l'uscita di uno dei 17 Stati dalla moneta unica creerebbe un precedente talmente grave da renderne le ripercussioni addirittura incalcolabili in termini di costi per l'Eurozona. Ma questo non significa che la caduta nel burrone non possa essere evitata. Gli economisti di Unicredit per esempio disegnano uno scenario centrale dove la Grecia resta nell'euro: dopo le prossime elezioni del 10 o 17 giugno, il nuovo Governo greco dovrebbe riuscire a trovare la via del compromesso sull'austerity imposta dalla Troika (Europa-Fmi-Bce).

Nel migliore dei casi, quel 70-80% della popolazione greca che preferisce rimanere nell'euro (forse perchè ha capito che stipendi pubblici e pensioni vengono pagati grazie agli aiuti finanziari esterni), dopo aver screditato nelle recenti elezioni con voti di protesta la mala-politica responsabile della crisi, alla prossima tornata elettorale - una sorta di referendum sull'euro - potrebbe consentire ai moderati di Nuova Democrazia e Pasok di avere i numeri per formare una "grande coalizione" disponibile a trattare ragionevolmente con la Troika. Pur restando invariata l'entità dei tagli già negoziati, i margini della trattativa potrebbero concentrarsi su due fronti più "morbidi": la tabella di marcia dell'abbattimento del deficit/Pil, con la possibilità di slittamenti per via di una recessione più severa del previsto (il Pil greco è stimato in calo complessivamente del 20% dai livelli pre-crisi), e l'incasso di nuovi aiuti per sostenere la crescita (tramite Bei, fondi strutturali europei, project bond...).

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