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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2012 alle ore 10:37.

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Tomislav Nikolic (Ap)Tomislav Nikolic (Ap)

A Ovest dei Balcani forse non molti si ricordano di Tomislav Nikolic, il nuovo presidente serbo, che negli anni '90 fondò il partito radicale ultranazionalista con Vojislav Seselj, da nove anni sotto custodia del tribunale dell'Aja per crimini di guerra nella ex Jugoslavia.

E ancora meno avranno memoria della cerimonia con cui Seselj insignì "Toma", questo il soprannome del possente sessantenne di Kragujevac, dell'onorificenza di "vojvoda", duce dei cetnici. Nikolic fu uno dei protagonisti dell'ascesa dell'iper-nazionalismo serbo che condusse i Balcani alla rovina: nel '99 era vice primo ministro di Slobodan Milosevic e membro del governo quando nel '99 la Nato bombardò la Jugoslavia.
Era manager di stato ai tempi del Maresciallo Tito, si poi è difeso con successo dalle accuse di aver partecipato nel ‘91 alla pulizia etnica di Antin in Slavonia e nel corso del tempo si è distaccato dalle posizioni più radicali, rompendo nel 2008 con il partito radicale di Seselj. Avvenne qualche tempo dopo un discorso in Parlamento con il quale caldeggiò la formazione di una Federazione tra Russia, Bielorussia e Serbia, una sorta di superstato ortodosso da contrapporre all'egemonia americana ed europea.

È quindi ancora più notevole, alla fine di questa tormentata e controversa vicenda umana e politica, la correzione di rotta che ha attuato con il Partito Progressista, prendendo posizioni più centriste e meno radicali. Nel giorno della sua vittoria sul presidente uscente Boris Tadic - quello che per intenderci ha consegnato Ratko Mladic al tribunale dell'Aja - ha voluto rassicurare la comunità internazionale affermando che «la Serbia non devierà dal suo percorso europeo», intrapreso con il traguardo di Paese candidato all'ingresso nell'Unione. Ma non si può certo chiedere a "Toma" Nikolic di rinnegare il passato.

Ecco: il passato che non passa, questa potrebbe essere la prima reazione al suo successo, in parte imprevisto ma non così sorprendente nell'atmosfera di crisi profonda che si respira nel continente europeo.
Nikolic, che non riconoscerà mai l'indipendenza del Kosovo, promette che la Serbia continuerà la strada verso l'Unione ma non c'è dubbio che i toni e lo stile della politica estera di Belgrado cambieranno: con la sua vittoria è tornato il populismo nazionalista favorito da una disocuppazione che sfiora il 25% e da un debito estero di 24 miliardi di euro.
Questa è l'altra faccia di un'Europa che con la crisi della Grecia e dell'euro dovrà di nuovo fare i conti con i fantasmi dei Balcani.

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