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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2012 alle ore 07:18.

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Alcuni sfollati ospitati in una tendopoli della Protezione civile a Finale Emilia (Ansa)Alcuni sfollati ospitati in una tendopoli della Protezione civile a Finale Emilia (Ansa)

FINALE EMILIA - Il primo problema sono le scarpe. «Volevo buttarle, meno male che non l'ho fatto», dice Mariella Campana, 65 anni, mentre guarda le punte delle sue calzature, infradiciate perché qui la terra si è inzuppata di pioggia. Tendopoli Robinson, strano nome per una delle sei erette domenica dalla Protezione civile a Finale Emilia, 16mila abitanti nel cuore del "cilindro della manifattura", come gli economisti prodiani chiamano quel mix di meccanica e biomedicale, agrindustria e piastrelle che costituisce un tassello essenziale dell'economia italiana ed europea. Mariella, pensionata, ha lavorato in una fabbrica metalmeccanica, in una tabaccheria e in agricoltura.

Nelle tendopoli di Finale Emilia, fra domenica e lunedì, hanno dormito 600 persone. Una disponibilità più che raddoppiata il giorno successivo. A San Felice sul Panaro, l'altra località indicata dai sismologi come epicentro, lo hanno fatto in 350. In Emilia Romagna, fra domenica e lunedì, si sono contati 4.914 sfollati, più un altro migliaio di persone che non se la sono sentita di rientrare in casa, prima della verifica di agibilità da parte dei tecnici. Aggiungendo anche la Mantovana e Rovigo, la Protezione civile ha stimato in 5.500 i posti letto predisposti. «Gli uomini della Protezione civile hanno lavorato tutto il giorno sotto l'acqua», racconta il novantunenne Fernando Scacchetti, uno degli ultimi sopravvissuti della divisione Acqui all'eccidio di Cefalonia: «Se ho avuto paura? Mannò, ne sono uscito vivo allora, vuole che oggi arrivi il terremoto e mi porti via…?», dice questo ex muratore (ex soldato) mentre la figlia lo osserva con ironico affetto.

Ieri sera il premier Mario Monti è arrivato a Ferrara. Oggi visiterà le zone colpite. Questa mattina, alle 11,15, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, riferirà in aula su una situazione maledettamente complicata. Già ieri ha anticipato che si stanno valutando la deroga al patto di stabilità interno e il rinvio dei tributi per i Comuni colpiti. Oggi si terrà un consiglio dei ministri straordinario per varare lo stato d'emergenza.

Qui, nella Bassa, le aziende sono ferme e nessuno si vergogna di raccontare le sue paure. Dice monsignor Ettore Rovati, della parrocchia dei Santi Filippo e Giacomo: «Tutti sono convinti che la grande scossa debba ancora arrivare». Aziende (per lo più) chiuse, cuori (quasi) fermi. Le scosse si ripetono nel corso della giornata. Almeno tre fanno sobbalzare e spingono tutti in strada. Le vie sono piene di macchine. In molti ci hanno dormito. I bagni artificiali danno quasi un senso di ordine a questa tragedia. I più spaesati sono gli immigrati, molti dei quali abitavano nei centri storici, dove i muri si sono sfarinati come pezzi di parmigiano poco stagionati. «Dormire nelle tendopoli di Finale o di San Felice? – si chiede Erminio Veronesi, funzionario della Fiom-Cgil, mentre si appresta a verificare le crepe in casa – Non ho voglia di andarci. Mi sa che raggiungerò mia moglie e i miei figli dalla cognata a Reggio Emilia». E, subito, l'occhio del sindacalista sviluppatosi in un sistema di relazioni industriali nei fatti efficientista e concertativo come quello modenese, si appunta sulle altre crepe. Quelle, appunto, economiche. «Continuo a ricevere telefonate di imprenditori che hanno chiusa la ditta», riferisce Angelo d'Aiello, trentaquattrenne vicesindaco di Finale Emilia. E, così, la dimensione economica e quella umana si intrecciano. «Meglio lasciare il posto nelle tendopoli a chi ha più bisogno, in particolare quelli che abitano nei centri storici, i meno risparmiati dal sisma», dice Giampaolo Palazzi, titolare di una azienda di meccanica di precisione con una ventina di addetti. «Io e i miei familiari – spiega mentre corre a ispezionare il suo capannone da 1.500 metri quadrati, la metà da abbattere – stiamo in un gazebo riscaldato nella nostra azienda agricola, a pochi chilometri da qui».

Tutti si organizzano. Le tendopoli si riempiono. Piove ma la temperatura è clemente. Chi sceglie di non entrare nei campi gestiti dalla Protezione civile ha spesso un parente che lo ospita. «Passeremo la notte a Modena», racconta Alessio Malaguti, famiglia che da cinque generazioni è proprietaria a Sant'Agostino, tre chilometri dall'epicentro, del ristorante La Rosa, fino al 2007 una Stella Michelin e, domenica scorsa, un migliaio di bottiglie infrante, alcuni grandi baroli e amaroni. Oggi Finale Emilia, come tutta la Bassa, ha due cuori silenziosi. Le tendopoli e le aree industriali. E una irreale assenza di rumori avvolge il polo produttivo di Finale, 50 imprese con 2mila addetti. «Di solito c'è un gran baccano», riferisce Guido Mazzola, responsabile acquisti della Gei Colors. Nel giorno del dolore, qui si sentono perfino le cicale e i passeri.

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