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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2012 alle ore 07:07.

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Crescita! È ormai diventata la parola magica che caratterizza vertici, comunicati, discorsi, conferenze stampa. E il neo presidente francese François Hollande ne è il portavoce, l'alfiere, l'eroico propulsore. Come se prima di lui il termine non esistesse neppure.
Non è vero, ovviamente. Il tema della crescita, non contrapposta al necessario risanamento dei conti pubblici, è sul tappeto da tempo. E il Paese che viene presentato come il maggior nemico dell'Hollande-pensiero, la Germania, sta dimostrando nei fatti che rigore e sviluppo economico possono, devono, camminare insieme.

È però vero (la Grecia è lì a dimostrarlo) che l'aver nettamente privilegiato l'austerità, di fronte all'emergenza della crisi del debito, ha certo ridotto l'azzardo morale degli Stati ma ha duramente colpito l'economia. E i gruppi sociali più fragili.
Com'è vero che Hollande ha fatto della crescita il leit motiv della sua campagna elettorale. E ora, con abilissima operazione di marketing politico, sta raccogliendo i frutti.

L'esordio dell'uomo della crescita sulla scena internazionale, lui che non ha mai neppure fatto il ministro, è stato pressoché perfetto. Con il viaggio a Berlino è immediatamente diventato il popolare capofila di tutti quelli che mal sopportano i diktat tedeschi (e mal sopportavano il direttorio franco-tedesco). Negli Stati Uniti è stato accolto calorosamente da un Barack Obama terrorizzato dalle possibili conseguenze di una recessione europea. Ha esordito con successo al G-8 ed è persino riuscito, con qualche concessione e grazie alle celebri doti mediatorie, a far accettare senza troppi mugugni al vertice Nato la partenza anticipata delle truppe francesi dall'Afghanistan. Da dove chiunque vorrebbe andarsene il più rapidamente possibile.

Sta giocando abilmente la partita degli eurobond. Tutti sanno benissimo che questo sarà il punto d'arrivo inevitabile del processo di integrazione europea. E tutti sanno anche che non si possono fare in tempi brevi. Pretendere che se ne parli, in fondo, non è molto rischioso.
Tutto bene, quindi? In realtà il difficile arriva adesso. Con il vertice europeo di fine giugno (di cui quello informale di ieri sera è solo un prologo). E con le misure che Hollande dovrà varare, in Francia, per dimostrare con i fatti come si possono conciliare crescita (vera) e disciplina di bilancio. Servono nuovi sforzi fiscali e soprattutto profonde riforme strutturali, a partire da quella del lavoro. È su questo, più che sulle immagini di un primo exploit diplomatico, che Hollande verrà giudicato. In casa e fuori.

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