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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2012 alle ore 08:12.

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Sulla Ring Road, il nastro d'asfalto che corre intorno a Homs, il nome di Hula appare su un cartello verde in direzione Nord Ovest, verso l'orizzonte delle campagne attraversate dall'Oronte, a poche decine di chilometri dal Libano. È qui che sono arrivati gli osservatori delle Nazioni Unite per confermare alla comunità internazionale che a Hula è stato compiuto dall'esercito uno dei peggiori massacri da quando nel marzo del 2011 sono iniziate le proteste contro il presidente Bashar Assad: 92 i civili uccisi, tra cui 32 bambini con meno di 10 anni.
Durissima la condanna internazionale: «Un crimine orrendo e brutale», lo hanno definito il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon e l'inviato speciale per la Siria Kofi Annan. Il capo del Foreign Office britannico, William Hague, vuole una «risposta forte» e una riunione d'urgenza del Consiglio di sicurezza. Il ministro italiano degli Esteri Giulio Terzi, che ha definito esecrabile la strage, e il collega francese Laurent Fabius si sono pronunciati per una convocazione del gruppo Amici della Siria. La Farnesina chiede la cessazione delle violenze e il libero accesso alle organizzazioni umanitarie per assistere la popolazione. Kofi Annan, dovrebbe riferire in questi giorni all'Onu ed è atteso, se non ci saranno cambiamenti di programma, a Damasco.
Ma il suo piano di pace in sei punti, previsto dalla risoluzione 2043, è quasi totalmente disatteso e il cessate il fuoco tra le parti appare una tragica finzione. I 250 osservatori sul terreno, caschi blu disarmati, stanno facendo il loro dovere ma sono pochi, sono stati bersaglio di attentati e incontrano difficoltà di movimento. L'Esercito libero siriano dell'opposizione afferma che se non ci sarà un intervento Onu non si sentirà più vincolato dalla tregua. Robert Mood, generale norvegese capo dei caschi blu, ha dichiarato che la Siria «rischia la guerra civile»: questa più che un'ipotesi futura è una constatazione amara degli eventi in corso.
L'artiglieria del regime ha martellato venerdì la città di Hula e raso al suolo interi quartieri, poi le forze speciali sono passate casa per casa per «finire il lavoro», con la consueta brutalità. A centinaia sono scappati, incitati anche dagli imam delle moschee, prendendo la via verso il Libano, nel tentativo disperato di trovare una via di fuga oltre frontiera. Certo non per la strada principale dove le truppe di Assad, forse la stessa famigerata Quarta Brigata capeggiata dal fratello minore Maher, aspettano ai posti di blocco i profughi e la guerriglia del Free Syrian Army.
La salvezza passa dalle strade bianche meno battute della campagna, per poi raggiungere i sentieri che ai piedi delle colline siriane scavallano la frontiera con il Libano, tra pietraie e avvallamenti scoscesi. È difficile non chiamare la crisi siriana con il suo nome, una guerra civile che dal marzo 2011, quando sull'onda della primavera araba iniziarono le proteste, conta almeno 10mila morti e decine di migliaia di profughi, in Turchia, Libano, Giordania e Kurdistan iracheno.
La stessa Homs, che un tempo aveva un milione di abitanti, è una città fantasma. Quartieri come quello di Bab Amro sono stati sventrati dall'artiglieria. Nel Nord del Paese esplodono battaglie quotidiane che divampano anche nelle zone calde della cintura metropolitana di Damasco. La protesta si è estesa ad Aleppo, una delle chiavi strategiche per verificare la tenuta del regime, che finora era rimasta ai margini degli scontri.
Una situazione sempre più grave dove Bashar Assad non ha il controllo e l'opposizione sembra non avere ancora la forza militare per abbatterlo. I ribelli non agiscono sotto un comando unificato. Il Free Syrian Army (Fsa), con base in Turchia, è una denominazione di comodo per definire una guerriglia formata da gruppi eterogenei, dove confluiscono disertori dell'esercito, milizie di autodifesa e combattenti salafiti, ovvero radicali islamici, in parte foraggiati dalle monarchie del Golfo e dalla Turchia.
Anche la presenza dei disertori è controversa: si sono verificati molti casi di infiltrati e ad Hama una mezza brigata di Assad ha finto di unirsi ai rivoltosi per poi prenderli di sorpresa e massacrarli. Quella siriana è una "guerra sporca", dove è entrato in azione anche un terrorismo sanguinoso e dalla matrice islamica oscura. La stessa rappresentanza del Consiglio nazionale siriano (Cns), monopolizzata dai Fratelli musulmani e da personalità di fuoriusciti poco conosciute, è un fronte variegato e litigioso.
Questi sono alcuni dei motivi per cui l'intervento internazionale appare complicato: ma il nodo strategico è la partita geopolitica, con Mosca, Pechino e Teheran schierate a difesa del regime e il mondo musulmano sunnita che vuole fare fuori Assad. L'ultimo regime baathista ancora al potere, dopo la caduta di Saddam in Iraq, rischia di trascinare il Medio Oriente verso una tragedia inarrestabile.
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