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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2012 alle ore 06:40.

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LONDRA. Dal nostro corrispondente
«Un rapporto delicato che si è fatto cruciale per diventare del tutto insano». Nonostante per l'ex premier britannico Tony Blair la stampa inglese «al suo meglio sia di qualità imbattibile», al suo peggio è assai simile a una morbosa minaccia. E non solo. L'attesa deposizione del più longevo primo ministro laburista britannico nella storia del Regno ha strappato un altro velo, confermando la sensazione che la Leveson inquiry sull'etica dei media sia lavacro nazionale del corto circuito fra media e politica.
Una relazione insana, appunto. Ma non abbastanza da spingere Tony Blair a un pubblico mea culpa. L'ex premier è stato secco nello smentire qualsiasi «scambio» con il gruppo NewsCorp di Rupert Murdoch anche sulla delicata mutazione politica dei laburisti, dapprima contrari a incroci proprietari nei media - e quindi in contrapposizione con il tycoon possessore di quotidiani e tv - e poi molto meno ostili alla cross ownership. Il prezzo avrebbe potuto essere l'endorsment, ovvero il sostegno pubblico dei giornali del gruppo a favore del candidato premier. Sostegno che arrivò, agevolando la vittoria elettorale di Tony Blair, così come arrivò la variazione programmatica sui media. Ma le due cose non vanno collegate, secondo l'ex premier. «Anche se - ha riconosciuto - devo ammettere che se avessimo mantenuto le posizioni politiche originali sarebbe stato un problema con la stampa di Rupert Murdoch».
Del tycoon, Tony Blair cercò il consenso andando a "corteggiarlo" fino in Australia, ma non creò, ha sostenuto, nessuna politica su misura. Anzi, ha ricordato, «in almeno sei circostanze» fece approvare leggi che andavano contro gli interessi del gruppo. Un'ammissione, abilmente calibrata, Tony Blair l'ha fatta. «Ho preferito gestire non contrappormi», ha detto riferendosi al potere dei media, lasciando intendere che avrebbe dovuto agire diversamente. Ammissione seguita dalla piena assoluzione che si è concesso per non aver mai ceduto alle pressioni eventuali di NewsCorp.
A infrangere una tela perfetta come quella rappresentata da Tony Blair davanti al giudice Leveson ci ha pensato, con un siparietto di qualche istante, lo sconosciuto signor David Lawley Wakelin esponente di Alternative Iraq Enquiry che gli si è scagliato contro accusandolo di essere un «criminale di guerra». L'incidente non ha avuto conseguenze se non aver ricordato a tutti la grande sintonia Blair-Murdoch sulla guerra in Iraq. Una sintonia che divenne sincera amicizia con l'ex ospite di Downing Street chiamato a far da padrino all'ultimogenito dell'anziano tycoon. Amicizia che l'ex premier non ha negato, ma che neppure gli ha impedito di sostenere che sia sempre stato Rupert Murdoch «il vero gestore del potere» nel gruppo editoriale e non Rebekah Brooks.
Tony Blair ha ben calibrato le parole per descrivere il rapporto con NewsCorp, ma è stato secco nel denunciare il potere dei giornali un tempo descritti come bestie feroci. «Gestirli è difficilissimo. Sono scontri frontali, ogni giorno, al punto che non credo sia più giornalismo, ma un abuso di potere».
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