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Questo articolo è stato pubblicato il 30 maggio 2012 alle ore 06:36.

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MIRANDOLA. Dal nostro inviato
Capannoni mezzo crollati, strade deserte, silenzio irreale. Il distretto produttivo di Mirandola è un campo di battaglia abbandonato, dove s'intravedono rare figure umane nei prati intorno alle fabbriche. Chi è rimasto accanto al posto di lavoro, dopo le due scosse del mattino e quella ugualmente violenta del pomeriggio, non sa capacitarsi e guarda sbigottito ciò che resta di uno dei più importanti poli manifatturieri dell'Emilia e del Paese, con 3,6 miliardi di ricavi complessivi e circa 15mila addetti, la maggior parte nel campo biomedicale, meccanico e alimentare.
«Avevamo ripreso l'attività normale da un giorno e adesso ho negli occhi la paura dei nostri 230 dipendenti», racconta Francesco Benatti, amministratore delegato della B-Braun, consociata di una multinazionale tedesca che produce articoli per ospedali. «Per fortuna nessuno è rimasto ferito, ma i danni psicologici temo che siano rilevanti – aggiunge –. In questo momento, non so quando potremo tornare serenamente a lavorare e non perché almeno il 10% dello stabilimento è stato lesionato: sono preoccupato per le prospettive del distretto, che è realmente in ginocchio, e non so come e quando riuscirò a chiedere alla gente di tornare in fabbrica».
A poche decine di metri dalla B-Braun c'è il magazzino della Aries biomedical devices, dove ha perso la vita il titolare Mauro Mantovani, l'ultimo a uscire dopo la prima terribile scossa. Il tetto è crollato, letteralmente sbriciolato al suolo come se fosse stato colpito da un meteorite. La stessa sorte è toccata a moltissimi capannoni dell'area industriale: se il terremoto di una settimana fa aveva lesionato l'80% delle costruzioni industriali, il sisma di ieri ha praticamente messo a repentaglio l'intero patrimonio immobiliare del distretto. «Questo genere di strutture, soprattutto nelle parti più alte, ha mostrato una particolare sensibilità alla tipologia di scosse telluriche che stiamo registrando», spiega Nicola De Simone, ingegnere a capo della squadra del Genio di Reggio Emilia impegnata nei rilievi dentro il magazzino dove ha perso la vita Mantovani.
La paura della gente è giustificata. E spiega come mai i paesi dell'intera zona siano ormai quasi spopolati: chiusi bar e negozi, da San Michele a Bomporto, da Solara a Cavezzo e San Prospero, chi può è andato via, da parenti e amici. Chi è rimasto, ha piantato tende e parcheggiato camper nei giardini, oppure bivacca all'aperto. Nessuno vuole farsi sorprendere al chiuso dalla prossima scossa, se arriverà. Per il polo manifatturiero di Mirandola si parla di danni molto sopra i 500 milioni. Senza considerare i problemi dello stop produttivo e le prospettive incerte della ripresa. «È stato il colpo di grazia, proprio quando le aziende stavano ripartendo», fa notare Giovanni Messori, direttore dell'Unione industriali di Modena. «Però non ci arrendiamo», aggiunge, sottolineando la decisione di confermare la data di lunedì prossimo per l'assemblea della Confindustria provinciale.
Di «rischio per le forniture ospedaliere» da parte delle aziende del polo di Mirandola (nel settore biomedicale sono più di cento, con 4mila addetti e circa 800 milioni di fatturato), ormai tutte ferme e senza visibilità sui tempi della possibile riapertura, parla anche Stefano Rimondi, titolare della Bellco (apparecchi per la dialisi) e presidente di Assobiomedica. «La produzione è bloccata e i danni alle strutture sono ingenti», commenta. Sembra quasi che il terremoto che ha colpito l'Emilia abbia voluto sfogare la sua rabbia puntando chirurgicamente su Mirandola. «Eppure dopo le scosse di domenica scorsa siamo quasi rimasti nell'ombra – si lamenta Sandra Cavicchioli, alla guida della Ofmec (azienda meccanica) – l'attenzione principale è andata per i centri storici, come forse è giusto e normale, ma qui ci sono migliaia di vite e di posti di lavoro messi a rischio».
Nel mirino di una parte dell'opinione pubblica è finito anche il progetto della Ers per costruire un gigantesco deposito di gas nel sottosuolo di Rivara, a pochi chilometri da Mirandola. «Dopo quello che è successo sarebbe davvero insopportabile», commenta Cavicchioli. Il Comune di Rivara non ha ancora dato l'ok, ma i timori e le preoccupazioni aumentano. Spingere miliardi di metri cubi di gas nelle viscere della terra può creare problemi in superficie?», si domanda Benatti. Tra i fantasmi che ora percorrono il distretto di Mirandola si aggira anche quello del sospetto.
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I NUMERI
3,6 miliardi
Il giro d'affari
Mirandola è uno dei poli produttivi più importanti del Paese per il settore manifatturiero
15mila
Gli addetti
La aziende del territorio danno lavoro a circa 15mila persone, concentrate nei comparti biomedicale, meccanico e alimentare. Il solo biomedicale vale 800 milioni, con 4mila addetti e oltre 100 imprese
500 milioni
I danni
I danni stimati per il polo di Mirandola
80%
Il primo sisma
La scossa di una settimana fa aveva già danneggiato l'80% degli edifici industriali della zona

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