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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2012 alle ore 08:13.

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In che cosa consiste la guerra civile siriana? È la dura cronaca quotidiana, che dopo il massacro di Hula ne segnala un altro, quello di 12 operai di una fabbrica di Qusayr, sempre nella provincia di Homs, giustiziati con le mani legate dietro la schiena e i cui corpi vediamo nei filmati sul web avvolti in sacchi bianchi di plastica. È il racconto, riportato dall'Associated Press, di Alì el-Sayed, 11 anni, che ha visto massacrare a Hula tutta la famiglia ed è sopravvissuto al colpo di grazia dei miliziani sporcandosi i vestiti di sangue per fingersi morto. È il dibattito a Ginevra al Consiglio Onu dei diritti dell'uomo che con il voto contrario di Russia e Cina si è espresso per un'inchiesta indipendente su Hula, primo passo per deferire il regime alla Corte penale internazionale dell'Aja per crimini contro l'umanità.
La tragedia siriana appare la ripetizione di una storia già vista nei Balcani, quando per oltre tre anni la comunità internazionale in Bosnia ha assistito alla morte di una nazione e poi all'eccidio di 8mila musulmani a Srebrenica. Lo ha appena ricordato l'ex presidente americano Bill Clinton che allora spinse l'Europa a fermare una strage alle porte di casa. Il macellaio di Srebrenica, il generale Ratko Mladic, è sotto processo all'Aja ma la Serbia di oggi, 17 anni dopo, non ha ancora accettato questa vicenda come dimostrano le fresche dichiarazioni del neoeletto presidente Tomislav Nikolic, che ammette i crimini di guerra ma nega il genocidio.
Dai tempi dell'ex Jugoslavia qualche cosa è cambiato: all'Aja è stato stabilito per la prima volta che crimini di guerra e genodicio vengono puniti anche in caso di guerra civile e non solo di conflitti internazionali. Certo le sentenze non dissuadono i carnefici, ma costituiscono un precedente nel caso si riaprisse la discussione all'Onu su un intervento al quale la Russia si oppone strenuamente se non avrà niente in cambio dagli Stati Uniti e dalla Nato.
La guerra civile siriana, di cui anche secondo Putin ci sono «i segnali precursori», costituisce la rottura, probabilmente irreversibile, di un equilibrio tra poteri.
Per 40 anni la Siria ha funzionato poggiando su due pilastri. Uno è il sistema formale del regime (Governo, Parlamento, presidente) ancorato al partito Baath e a una coalizione di partiti, associazioni e sindacati. Il sistema formale rifletteva il peso dei vari elementi che formano la società: i sunniti, la maggioranza, costituivano circa il 60% dei ministri e dei parlamentari. Questo spiega perché il regime, con la cooptazione dei vari gruppi di interesse, ha resistito così a lungo e non è crollato.
Ma è il sistema informale che esprime i veri rapporti di forza. Gli alawiti di Assad, setta eterodossa affiliata ai musulmani sciiti, sono il 13% della popolazione e rappresentano l'80-90% dei comandanti militari e della sicurezza. Il partito Baath aveva integrato i capi militari alawiti e serviva da camera di compensazione tra potere formale e informale, tra la minoranza al comando e la maggioranza. Gli anni di Bashar dopo la morte nel 2000 del "camerata combattente", il padre Hafez, sono stati segnati dalla progressiva perdita di influenza del Baath. Quello siriano è diventato soprattutto uno Stato di pretoriani, tenuto insieme dal mastice dell'ostilità a Israele che occupa il Golan dal'67, e si appoggia per legittimarsi alle altre minoranze come cristiani, drusi, ismailiti.
La crisi del sistema alawita non è soltanto quella di un clan o di un dittatore ma investe un'intera società che giorno dopo giorno, incoraggiata anche dai padrini esterni, non si riconosce più ed esaurisce le ultime chance di convivenza: la Siria, come l'Iraq o il Libano, è una sorta di Jugoslavia araba e sta affondando nel sangue. Forse, da Est e Ovest, tra i volti dei signori del debito e di quelli della guerra, arriveremo tardi anche questa volta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA di Alberto Negri

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