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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2012 alle ore 19:09.

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«La gente vuole a andare a sentire l'odore della morte, sentendosi viva. E vuole domandare ai superstiti come stanno e cosa faranno. Li interrogano per prendere le misure di quello che devono fare loro». Maria Rita Parsi, psicologa e psicoterapeuta, spiega così la tendenza di chi va sui luoghi del dolore, come sta accandendo in queste ore anche per il sisma che ha messo in ginocchio l'Emilia.

Il "turismo della morte" ha un filo rosso che lega uomini e donne di ogni appartenenza e di storia: «Il ragionamento è: vediamo come può capitare, e teniamoci pronti». Si mettono le mani avanti, spingendo il baratro più in lá. Non è toccato a noi, stavolta. Ma il pensiero torna. «L'angoscia sovrana di ogni essere umano è l'angoscia di morte -rimarca infatti Parsi- ci accompagna per tutta la vita. La combattiamo in molti modi: facendo figli o pensando di essere immortali, sperando che ci sia un altro mondo dopo la vita, credendo nella scienza o trovando forme di creativitá per esprimerci. Una maniera di tenere sotto controllo la morte, è andarla a vedere».

Si fanno viaggi verso i cancelli di una scuola, si raggiungono rovine per vedere case accartocciate dalla violenza di un terremoto che non guarda in faccia a nessuno. «Dove passa la morte, andiamo a vedere - fa notare la psicoterapeuta - nel caso del terremoto, è una morte che ci sorprende nel sonno o all'improvviso. Una fine terribile». Ma ci sono anche aspetti positivi, come quello di «portare consolazione. E scatta anche il bisogno di aiutare: si avverte il bisogno di condividere una condizione che è di tutta l'umanità». Infine, ma non da ultimo, «va ricordato che il sisma mette in moto i "terremoti interni", quelli delle emozioni positive e negative, ambivalenti, che tutti abbiamo».

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