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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2012 alle ore 14:00.
L'ultima modifica è del 04 giugno 2012 alle ore 08:59.
La torre di Novi aveva esattamente 300 anni. Più giovane rispetto a quella di Finale Emilia crollata nel sisma del 20 maggio, aveva comunque resistito alle bombe della Seconda guerra mondiale che, pure, qui non erano state risparmiate.
Niente ha potuto, invece, contro l'accanimento - perchè a questo punto di accanimento vien proprio da parlare - del terremoto che, con la scossa di magnitudo 5.1 della scala Richter di ieri sera alle 21.20, l'ha definitivamente tirata giù. Frana un altro simbolo dell'Emilia, franano nell'angoscia gli emiliani (che almeno questa volta non sono rimasti schiacciati dai crolli) che si chiedono, tanti con le lacrime agli occhi, "quando finirà"?. Nessuno può rispondere loro: nessuno può dire per quante notti saranno costretti a dormire nelle tende per scongiurare le zampate di un terremoto che, da ieri sera alle 21.20 a questa mattina alle 7.26, ha fatto ballare la terra 67 volte(Fonte http://cnt.rm.ingv.it/). Sempre lì, sempre nella zona interessata dal sisma del 29 maggio (quello costato la vita a 17 persone, di cui 13 lavoratori). Un fenomeno che, seppur monitorato dai sismologi, che hanno confermato le coordinate dell'epicentro, spiegando poi che la terra in quell'area era da giorni in movimento, non possono fare previsioni, anche se qualcuno azzarda che la faglia spezzata si potrebbe rompere ancora.
E così nella giornata di lutto nazionale, all'indomani della visita (aerea) del commissario europeo per gli affari regionali Johannes Hahn che ha assicurato il sostegno dell'Unione (confermato dal vice presidente della Commissione Ue Antonio Tajani), gli emiliani e tanti mantovani si ritrovano di nuovo da capo: la terra trema, le case inagibili e il panico con cui si confrontano ogni giorno. Panico contro il quale nessuno può fare qualcosa: tutto crolla, non c'è più nulla di stabile nella vita di questa gente. Niente lavoro, niente casa e oggi, ormai, niente speranza. «Sembra una beffa del destino», aveva detto ieri sera a pochi minuti dal terremoto, Francesco Bianchini, della Protezione Civile del Veneto, responsabile di uno dei campi di Finale Emilia. «Ieri, anche grazie al rallentamento dello sciame sismico delle ultime ore, in molti avevano ritrovato il coraggio ed erano rientrati nelle case. Alle 21.20 la scossa, un minuto dopo erano di nuovo tutti qui». Bianchini, che da 30 anni gira il mondo e l'Italia per prestare soccorso laddove c'è un disastro, qualche sera fa, chiacchierando dopo una giornata di lavoro, aveva commentato così lo sciame sismico: «Meglio che tremi spesso e piano: se c'è energia è bene che si sprigioni poco a poco, non fa danni». Ora, che sia o no una coincidenza, il terremoto di ieri sera è arrivato proprio dopo un rallentamento dello sciame.
E oggi si ricomincia, da zero. Perché i controlli, che erano iniziati per la seconda volta qualche giorno fa, sono ancora da rifare. E poi, visto che il destino sembra avere insondabilmente deciso di accanirsi contro gli emiliani, oggi ci si mette anche il maltempo, degno compagno dei primi funerali che si celebreranno proprio questa mattina. L'ultimo saluto, accompagnato da un minuto di silenzio e, almeno nel modenese dalla serrata dei negozi fino alle 13, sarà dato a don Ivan Martini, Enzo Borghi e Daniela Salvioli. Nei prossimi giorni, terminate le autopsie disposte su diverse vittime, si celebreranno gli altri. Un lutto infinito per questa terra e per questa gente che non sa più a che santo affidarsi.
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