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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2012 alle ore 22:04.

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«Nessuna delle nostre aziende associate ha fatto girare una liberatoria, firmata la quale, si scraica delle responsabilità penali e civili verso i lavoratori in caso di incidente. Il nostro primo pensiero, anzi, come ha rimarcato in più occasioni il presidente Squinzi è per la sicurezza dei lavoratori». Non concede margini al dubbio la risposta di Confindustria Modena alla domanda che da alcune ore si è insinuata nei cervelli di migliaia di lavoratori: ossia che davvero qualcuno possa essersi scrollato di dosso la responsabilità della salute e della vita dei propri dipendenti.

Casus belli la denuncia fatta dalla Cgil regionale, con tanto di documento scritto su carta intestata, di un'azienda del settore abbigliamento di Carpi: la Forme Physique (che per inciso non è associata a Confindustria). Sul foglio che ha fatto drizzare i capelli in testa al sindacato si legge: «Vista la delibera del Consiglio dei ministri del 22 maggio 2012, con la quale è stato dichiarato fino al 21 luglio 2012 lo stato di emergenza in ordine agli eventi sismici che hanno colpito il territorio (...) ciascun dipendente che ritiene opportuno continuare a svolgere la propria attività, libera la società da qualsiasi responsabilità penale e civile... Alleghiamo le firme dei dipendenti che hanno sottoscritto tale liberatoria». Il documento, così letto e riletto anche da sinistra a destra, lascerebbe poco margine al dubbio.

Dubbio che prova a dissipare la titolare dell'azienda, Paola Zerbini, balzata agli onori delle cronache sindacali. Furiosa la signora Zerbini abbozza una difesa, riservandosi per altro di mettere tutto in mano ai suoi legali: «Io non ho fatto firmare quel documento, evidentemente qualcuno ha capito male. Proprio stamattina ho detto ai lavoratori che chi vuole venire a lavorare può venire e chi non vuole può stare a casa.
E anche che la responsabilità resta mia, nonostante il nostro tecnico abbia dichiarato l'agibilità del capannone, dove siamo in affitto. Stiamo facendo di tutto per tenere aperto, eravamo pronti a portare i container ma i dipendenti hanno detto che si sentivano sicuri così. Non capisco, ci rivolgeremo a un avvocato».

Magari è proprio come dice lei, magari la signora Zerbini non ne sapeva niente: ma se è vero che carta canta e quella carta è anche intestata, da qualche parte quel foglio deve essere uscito. Probabilmente lo scoprirà il procuratore capo di Modena Vito Zincani al quale Antonio Mattioli, della Cgil del comune emiliano, ha già annunciato che ricorrerà.
La circolare della discordia firmata dal capo della Protezione civile Gabrielli, ed entrata in vigore lo scorso 2 giugno, affida in sintesi ai titolare delle aziende la responsabilità di provvedere privatamente, affidandosi anche a periti e tecnici privati, alla certificazione di agibilità dei capannoni. Un carico pesante per gli imprenditori, è evidente.

A spiegarlo, in una dichiarazione a un quotidiano locale è uno di loro, Rodolfo Musci, titolare della Pressimar di Finale Emilia: «Non si può rispettare quest'ordinanza - racconta -. Prendiamo il mio caso: io ho il capannone parzialmente inagibile e devo sistemarlo, per far rientrare i dipendenti. Sicuramente lo sistemerò in base alle norme antisismiche, ma quell'ordinanza mi impedisce di fare i sopralluoghi, di entrare coi progettisti, di mettere dentro un'impresa per fare i lavori, perché se viene un terremoto e muore qualcuno che sta lavorando per sistemare il mio capannone, per metterlo a norma, io vado in galera». Non fa una piega.
La soluzione, tra virgolette, per Musci e quelli come lui sarebbe nell'abbattere e ritirare su da zero la struttura, con un costo esorbitante, oggettivamente difficile da sostenere per chi ha la produzione ferma e non vedrà chissà per quanto delle nuove commesse.

Un carico pesantissimo, quindi se le cose dovessero essere davvero così, per gli imprenditori emiliani che già alla crisi avevano pagato un tributo eccezionale: dal distretto ceramico, a quello del tessile abbigliamento: tutta la zona investita dal sisma era già stata mezza asfaltata dalla crisi.Già da un paio d'anni, ad esempio, il Comune di Sassuolo aveva messo in piedi una cassa di emergenza per i lavoratori a spasso. A resistere all'urto del crollo dei mercati era stato solo il distretto del biomedicale di Mirandola che nonostante i tempi biblici di pagamento delle Aziende Usl italiane marciava spedito.

Oggi di quella perla produttiva non rimangono che macerie. Che saranno comunque da raccogliere e rimettere insieme «nella tutela dei diritti e della sicurezza dei lavoratori - chiosa Confindustria Modena -. Perché siamo stati proprio noi a proporre ai sindacati la cassa integrazione straordinaria per i lavoratori. Lo abbiamo fatto nei giorni immediatamente successivi al 20 maggio: dal 2 giugno quell'accordo, retroattivo sia chiaro, è diventato realtà e oggi, purtroppo, sono 6mila i lavoratori che ne usufruiscono».

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