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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2012 alle ore 06:37.

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Frena la spesa sanitaria pubblica, esplode per contraccolpo quella privata pagata di tasca propria dagli italiani che negli ultimi dieci anni hanno speso oltre il 25% in più al di fuori dell'assistenza pubblica. Ma la crisi morde e aumentano sempre più i cittadini che, anche se ne hanno bisogno, non si curano. E chi non può pagare di tasca propria, sempre più spesso rinuncia a curarsi. Ormai è un esercito: sono 9 milioni, stima il Censis in una indagine con Rbm Salute presentata ieri a Roma, gli italiani che dichiarano di non aver potuto accedere ad alcune prestazioni sanitarie per ragioni economiche.
«La sanità negata», censura il Censis. Negata alle donne, agli anziani, alle famiglie con figli. Negata perché i tagli alla spesa pubblica significano riduzione delle prestazioni gratuite, negata dalle liste d'attesa e dai disservizi. Il 61% sono donne, 2,4 milioni sono anziani, 4 milioni vivono al Sud, 5 milioni sono coppie con figli: questa la foto impietosa di chi nell'ultimo anno avrebbe rinunciato a alle cure sanitarie per motivi economici.
Il fenomeno, spiega il Censis, è particolarmente accentuato nelle Regioni con piani di rientro dal deficit sanitario, dove la crescita media della spesa pubblica è calata dal +6,2% del 2000-2007 a meno dell'1% nei tre anni successivi. A livello nazionale si è passati, nello stesso periodo, da aumenti annui del +6% al +2,3%. Anche in conseguenza dei tagli, gli italiani che ritengono la sanità della propria Regione in peggioramento sono aumentati di dieci punti percentuali tra il 2009 e il 2012, fino al 31,7 per cento.
Ma il gap tra le esigenze di finanziamento della sanità pubblica e le risorse disponibili è destinato a crescere ancora, fino a raggiungere i 17 miliardi nel 2015. Come dire: il rischio di una fuga dalle cure è destinato a crescere. E per questo diventa più che mai cruciale il ruolo e l'espandersi della sanità integrativa, il cosiddetto "secondo pilastro". Fondi integrativi che oggi coinvolgono oltre 11 milioni di italiani e che spesso svolgono un ruolo ampiamente sostitutivo rispetto all'offerta pubblica. Ma che non sono alla portata di tutti e che sono stati tenuti in naftalina da almeno vent'anni, rispetto alle loro potenzialità di crescita. E che però adesso, rileva il Censis, sotto i colpi della crisi potrebbero trovare un nuovo slancio.
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