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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2012 alle ore 07:42.

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ISTANBUL - Gli "amici della Siria" erano chiusi nel palazzo di Dolmabahce, dove tutti gli orologi sono fermi alle 9.05, l'ora della morte di Kemal Ataturk, il padre della Turchia moderna. Come una sfida, da Hama è venuta la notizia dell'ultimo massacro del regime. Si cerca una soluzione politica mentre laggiù il Paese scivola verso la guerra civile o qualcosa di peggio.

La sensazione è che questi ricorrenti incontri sull'introvabile soluzione siriana assomiglino a quelli europei sulla crisi della moneta unica: molta comprensione del problema ma nessuna decisione strategica. "Non sono sicuro che il paragone sia corretto", risponde Giulio Terzi, il ministro degli Esteri che ha promosso questo incontro di Istanbul per dare una risposta politica al massacro di Hula, di dieci giorni fa. C'erano Hillary Clinton, i ministri europei, il turco, il saudita, quello del Qatar. "E' una specie di gruppo di contatto", aggiunge Terzi. "Una quindicina di Paesi che hanno raggiunto la maturità per influenzare la comunità internazionale: ci sono membri del consiglio di sicurezza Onu, della Lega araba, gli europei. Sono la rappresentanza della settantina di Paesi interessati a risolvere la crisi siriana".

Ministro, sembra sempre più chiaro l'obiettivo di coinvolgere la Russia: portarla dalla vostra parte.
E' necessaria per risolvere la crisi. Ma la Russia deve anche capire che se tiene ai suoi interessi nel Mediterraneo, alle basi navali in Siria, questa che le offriamo è un'occasione da non perdere.

La Russia tuttavia propone di coinvolgere nel dialogo anche l'Iran, confondendo volutamente nucleare e Siria. Una provocazione più che una proposta.
Così è parso a tutti. Inserire l'Iran renderebbe superfluo ogni negoziato siriano. E' importantissimo che i russi siano consapevoli che i loro interessi in Siria e nel mondo arabo dipendono dalla partenza della famiglia Assad e da una soluzione politica. Insistere con un gioco a somma zero che ricorda tempi ormai passati, renderebbe molto difficile mantenere i loro spazi d'influenza in quella parte del mondo".

Sembra di essere tornati ai tempi del bipolarismo: americani e russi, gli altri seguono.
No, penso che i russi siano sinceramente preoccupati di quello che verrà dopo, che manchi una chiara strategia oltre Assad. Perché quello che serve è l'altro pilastro del problema: un'opposizione siriana che rappresenti di chi sta fuori e chi dentro, guidata da leader credibili e riconosciuti da tutti.

Appunto: che fare?
E' un tema sul quale abbiamo discusso molto. La parte araba molto influente del nostro gruppo di contatto, intende lavorare su questo. Il prossimo incontro a Parigi, all'inizio di luglio, dovrebbe dare un forte impulso all'opposizione al regime.

I Paesi del Golfo vorrebbero armarla: in realtà lo stanno già facendo. Non è anche questa una soluzione?
Non c'è dubbio che alcuni Paesi pensino sia necessario dare più forza a quei gruppi dentro la Siria che si stanno difendendo da un anno e mezzo. E' uno dei temi fondamentali delle nostre discussioni: c'è chi punta a una soluzione politica e un'altra parte rilevante è a favore della lotta armata. Il problema va risolto rapidamente: non c'è solo il rischio di una guerra civile e di uno scontro etnico. Il confronto potrebbe diventare regionale.

Quanto è serio il rischio che Siria e nucleare iraniano si sovrappongano, che il conflitto si estenda al Libano, che si cerchi di coinvolgere Israele?
Negli ultimi mesi della rivolta siriana l'Iran ha dimostrato di essere vicinissimo a Damasco e di sostenerlo molto attivamente: con le armi e con l'intelligence. I due Paesi si sostengono in modo evidente, sono collegati con Hezbollah sciita e con altre forze anti-israeliane in Medio Oriente. C'è una strategia combinata. E' chiaro che il cambio di regime a Damasco preoccupa moltissimo Tehran.

Lei ha sostenuto che i risultati della missione Onu di Kofi Annan sono molto scarsi. E' una critica?
No. Vi ho creduto fin dall'inizio, io stesso ho suggerito la nostra partecipazione ai miei colleghi di governo. Abbiamo assicurato il sostegno logistico per mandare i caschi blu nelle zone di teatro. La presenza degli osservatori sul campo, ai quali forse bisognerebbe dare una capacità di autodifesa, è determinante per fermare la violenza. Ma nelle attuali condizioni non è in grado di svolgere la sua missione. Il regime non sta attuando nemmeno il primo dei sei punti richiesti dal piano di Kofi Annan: il ritorno dei soldati nelle caserme. La missione dunque va sostenuta, ma il tempo stringe.

La rimozione dal potere della famiglia Assad sembra non essere più la precondizioni per avviare un processo politico ma il risultato di quel processo.
Non so se deve avvenire all'inizio, a metà o alla fine del processo. Quel che è certo che l'uscita di scena degli Assad è l'elemento fondamentale di questa crisi.

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