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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2012 alle ore 06:39.

«Se non cambia qualcosa, il futuro saranno repressioni brutali, massacri, violenze settarie. Anche una guerra civile vera e propria». Le parole di Kofi Annan all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite si aggrappano ormai disperatamente al piano "di pace" che porta il nome dell'inviato dell'Onu in Siria.
Non potrebbe essere diversamente, dal momento che si sovrappongono alle immagini dell'ultimo massacro, diffuse su internet, e se nelle stesse ore il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha annunciato che gli stessi osservatori delle Nazioni Unite e della Lega araba, inviati a verificare il rispetto della tregua, sono stati accolti a fucilate a Mazraat al-Qubeir, l'ultimo villaggio siriano travolto dalla violenza. «La comunità internazionale deve trovare la volontà e il terreno comune per agire come una cosa sola», ha detto Annan. Ma dopo i morti di Hula, due settimane fa, neppure quelli Mazraat al-Qubeir convinceranno il mondo a superare le proprie divisioni per trovare una via d'uscita.
«Le notizie di oggi sono sconvolgenti - ha detto ieri Ban Ki-moon -. Un villaggio apparentemente circondato da forze siriane. Corpi di civili innocenti caduti dove si trovavano, fucilati. Alcuni bruciati, tagliati con coltelli».
Per ricostruire l'accaduto si fa affidamento sulle testimonianze raccolte dalle agenzie internazionali: a Mazraat al-Qubeir - Siria occidentale, l'epicentro della rivolta contro Bashar al-Assad - sembra essersi ripetuto lo stesso meccanismo della strage di Hula: scontri tra forze alauite fedeli ad Assad e ribelli anti-governativi, seguiti da assalti a villaggi abitati da sunniti. Nei racconti torna lo spettro degli shabiha, le milizie venute dal mondo della criminalità per difendere il regime. «Fonti diverse e credibili», afferma la Casa Bianca, aggiungendo che ormai Assad «non ha più credibilità, la violenza conferma la natura illegittima e immorale del suo potere». Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, a Mazraat al-Qubeir gli shabiha hanno ucciso almeno 78 civili.
«I responsabili di questi crimini devono essere portati davanti alla giustizia - ha detto ieri Kofi Annan - non possiamo permettere che le uccisioni di massa diventino la realtà quotidiana in Siria».
Per spezzare questo circolo infernale Annan, intervenuto anche davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, propone di costituire un "gruppo di contatto" in cui i cinque rappresentanti permanenti a Palazzo di Vetro - Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia - uniscano gli sforzi alle potenze regionali vicine al Governo siriano o all'opposizione: Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Iran. Il loro appoggio darebbe prospettive reali a un intervento delle Nazioni Unite: la direzione auspicata da Annan è una transizione politica che porti all'uscita di scena di Assad e allo svolgimento di elezioni libere.
La proposta implica la rinuncia da parte di Mosca a sostenere il presidente siriano, idea respinta finora dai russi che temono di perdere influenza con una nuova leadership. Per il momento, la loro posizione non cambia: noi non siamo contrari a una transizione politica se saranno i siriani a deciderla, ha ripetuto ieri il viceministro degli Esteri Mikhail Bogdanov. Mentre dal Kazakhstan il ministro Serghej Lavrov ha ribadito: «Non ci sarà alcun mandato dell'Onu per un intervento esterno in Siria. Ve lo posso garantire».