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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2012 alle ore 08:15.
ROMA
Dunque, fiducia sarà. Per venir fuori da un percorso già sin troppo accidentato e potenzialmente aperto a nuove insidie, il Governo decide di blindare la sua linea sulle norme anticorruzione. La scelta di procedere con il massimo della determinazione, dopo l'andirivieni di modifiche piovute dai partiti, fuori e dentro la maggioranza, è annunciata dal Guardasigilli Paola Severino a Lussemburgo, dove il ministro incontra i colleghi europei della Giustizia. Il testo del disegno di legge su cui il Governo è pronto a chiedere la fiducia «è stato emendato con dei miglioramenti che danno effetti positivi», riflette Severino. Ciò che tuttavia non può essere accettato è «considerare la giustizia una merce di scambio». Se quella fiducia non dovesse esserci, quindi, l'Esecutivo «tornerà a casa».
Una presa di posizione gelida che dà tutto il senso del livello della tensione raggiunto nel faticoso dialogo con le forze politiche. L'annuncio evidenzia l'urgenza, avvertita dal ministro, di fare presto senza concedere spazio a ulteriori mercanteggiamenti di sorta. «La serietà non si scambia con nulla - spiega ancora Severino -; si possono accettare, ovviamente, e sono stata sempre pronta a farlo, dei suggerimenti per migliorare le definizioni e la struttura dei reati, ma ho sempre detto che l'ossatura del provvedimento non si tocca».
Erano in pochi ormai a dubitare che si arrivasse alla fiducia, che potrebbe intervenire ufficialmente martedì della prossima settimana. Lasciando Palazzo Chigi per una pausa del consiglio dei ministri, il ministro dei Rapporti con il Parlamento Piero Giarda si rifugia in un'aria di Donizetti per evitare commenti («or muta e immobile qual freddo sasso»). Che invece fioccano copiosi dai partiti, già in qualche modo preparati alla scelta del Guardasigilli. Di un «errore» parla apertamente Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera («strozza un dibattito che sulla parte penale era appena iniziato e opera una forzatura anche sul merito del provvedimento»). Ancora più radicale, dalle stesse file, è Massimo Corsaro. «Se la signora Severino e il suo Governo decidessero comunque di andarsene a casa un minuto dopo - minaccia il vicepresidente vicario del Pdl alla Camera - io e qualche decina di milioni di italiani proveremmo a farcene una ragione».
Più morbida la reazione del Partito democratico, che si dice favorevole a votare la fiducia sul testo uscito dalla Commissione. Per la capogruppo Donatella Ferranti anche quella versione è «migliorabile e se non si dovesse procedere con la fiducia, noi abbiamo presentato emendamenti per raddoppiare la prescrizione, rendere più effettive le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e aumentare nel massimo di alcune pene che sono rilevanti ai fini della prescrizione. Comunque non accetteremo alcun intervento sui processi in corso».
L'Udc dirà sì al sostegno ma allo stesso tempo spera in un esito positivo per alcune correzioni proposte durante l'iter parlamentare. Pierluigi Mantini, responsabile delle riforme istituzionali del partito di Casini, precisa infatti che «l'eventuale richiesta del voto di fiducia da parte del Governo non deve impedire l'immediata entrata in vigore della norma sull'incandidabilità in Parlamento dei condannati con sentenza definitiva per gravi reati».
A chiedere ancora una volta un ripensamento al ministro Severino è invece l'Italia dei Valori. «Questo ddl anticorruzione non ci convince. E non ci convince neanche il ricorso all'annunciata fiducia che, d'altra parte, non è più una novità per questo Governo», taglia corto il capogruppo in Commissione Giustizia Federico Palomba. «Con i nostri emendamenti abbiamo chiesto che i reati di concussione e corruzione vengano trattati allo stesso modo. In materia di concussione continuiamo a pensarla come la magistratura milanese perché non è solo una norma "salva-Ruby" ma anche "salva-Penati" e "ammazza-processi"».
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