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Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2012 alle ore 06:40.
ROMA
Nonostante la dead line delle «tre settimane» per fare la nuova legge elettorale che si sono dati Pier Luigi Bersani e Angelino Alfano in un faccia a faccia avuto la scorsa settimana, il destino del Porcellum è legato al Ddl riforme da oggi al voto del Senato. Riduzione dei parlamentari e più poteri al premier: su quest'impianto il Pdl, come annunciato, ha presentato ieri 6 emendamenti per l'introduzione dell'elezione diretta del capo dello Stato sul modello francese. Solo in caso di elezione diretta del presidente – è il diktat del Pdl – si può fare la riforma elettorale a doppio turno cara al Pd. E tra oggi e domani gli azzurri proveranno a forzare la mano in Senato nonostante il "no" di Pd e Udc. Ieri Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello hanno anche introdotto un modifica al testo già conosciuto: il capo dello Stato non presiederà più il Csm come accade ora; il compito spetterà al primo presidente della Cassazione.
Un "no" non pregiudiziale, quello di Pd e Udc al semi-presidenzialismo, ma motivato dal fatto che manca poco tempo alla fine della legislatura e che una riforma di tale rilievo non può farsi via emendamenti. «Non è che possiamo sederci al tavolo per riformare insieme la legge elettorale il giorno dopo una forzatura di tale portata sul presidenzialismo – avverte Luciamo Violante, che rappresenta il Pd al tavolo "tecnico" con Quagliariello –. Se gli emendamenti del Pdl dovessero passare in Senato si blocca il processo riformatore. Punto». Siamo dunque al paradosso che nelle prossime ore il Pdl tenterà comunque il blitz in Senato (questo l'esito di una riunione ristretta degli azzurri ieri sera sul tema) sapendo che il dialogo sulla legge elettorale potrà ripartire solo se il blitz fallirà. Un modo per tornare a votare col Porcellum addossandone ad altri la colpa, sostengono i maliziosi.
Il piano B, quello che scatterebbe in caso di bocciatura del semi-presidenzialismo in Senato, c'è già ed è quello al quale i tre partiti pro Monti lavorano da settimane: l'ispano-tedesco, con forti correttivi maggioritari per premiare i partiti più grandi senza tuttavia costringere al bipartitismo. Lo schema è quello conosciuto: 50% di eletti in collegi uninominali, 50% con sistema proporzionale e sbarramento al 5%. I correttivi maggioritari sono un premio di maggioranza al primo partito e soprattutto la divisione del territorio, come in Spagna, in piccole circoscrizioni (per l'Udc dovrebbero essere 26, per Pdl e Pd una quarantina). Il che comporta una soglia implicita di sbarramento in favore dei partiti medio-grandi. La scorsa settimama il democratico Salvatore Vassallo ha fatto avere su richiesta al responsabile riforme dell'Udc, Pierluigi Mantini, una simulazione sullo schema delle piccole circoscrizioni. L'effetto premio sarebbe evidente per i partiti più grandi: tra il 6 e 7% in più per il Pd, tra il 4 e il 5% in più per il Pdl, mentre il Terzo polo (Udc più Fli) manterrebbe le sue forze (0,5% in più) e i "piccoli" al di sotto del 10% sarebbero penalizzati. Insomma, i centristi potrebbero anche starci. Ma tutto dipende dall'esito delle votazioni in Senato. Sulla carta i numeri per approvare il semi-presidenzialismo ci sono: se la Lega – come è probabile – voterà insieme al Pdl, i sì saranno 149 (a cui vanno aggiunti 6 finiani) contro 139 no (Pd, Idv e Udc). Tra oggi e domani lo show down. E, forse, la tomba delle riforme.
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