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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2012 alle ore 06:39.

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Ogni guerra ha una sua storia e molteplici spiegazioni, che richiedono analisi e definizioni diverse, a volte sofisticate, ma niente può attenuare o far accettare la cruda realtà di un conflitto che sta trascinando una nazione nel baratro della barbarie.
La diplomazia internazionale, in gran fermento da Mosca a Washington per stilare la lista degli invitati a una nuova maxi-conferenza sulla Siria, può restare ancora indifferente davanti a questa tragedia e ai racconti dei testimoni? Ce lo chiediamo da tempo ed ecco che un rapporto delle Nazioni Unite ci informa di bambini usati come scudi umani, torturati e seviziati: lo ha denunciato il rappresentante dell'Onu per l'infanzia Radhika Coomaraswamy, tornata dalla Siria con resoconti «raccapriccianti» su bambini in stato di detenzione e massacrati. Dall'inizio della rivolta nel marzo 2011 contro il presidente Bashar Assad ne sono stati uccisi 1.200, un decimo di tutte le vittime di questo conflitto.
Il rapporto è stato redatto prima del massacro di Hula del 25 maggio in cui morirono 108 persone, di cui 49 bambini. Vi possiamo leggere questo: «I bambini torturati hanno raccontato di essere stati picchiati, bendati, costretti a posizioni difficili, frustati con cavi elettrici, bruciati con sigarette e, in un caso, sottoposti a elettroshock ai genitali». Molti ex soldati hanno raccontato di attacchi ai civili dove hanno visto uccidere e menomare i bambini. «Noi stessi - dice il rappresentante dell'Onu - abbiamo visto fanciulli torturati e che ne portavano i segni. Abbiamo anche sentito, questo ci è stato raccontato da loro, di bambini presi e legati sui carri armati per fare da scudi umani in modo che i mezzi militari non venissero colpiti».
L'Onu non risparmia critiche anche all'Esercito libero siriano (Els) - l'opposizione armata - accusato di mettere in pericolo i minori: «Abbiamo saputo di bambini reclutati dall'Els soprattutto per mansioni mediche e di servizio, ma pur sempre in prima linea». È la tragedia dei bambini-soldato che abbiamo visto per la verità in nazioni molto meno sviluppate della Siria, dal Mozambico all'Angola, nella Somalia travolta da un'anarchia infinita, nell'Afghanistan da 30 anni senza pace dove le fazioni di mujaheddin e talebani hanno sempre reclutato fanciulli nei villaggi.
Erano o sono Paesi dove intere generazioni hanno vissuto nella fame, nella miseria, nell'analfabetismo, lontano da ogni barlume di vita civile: difficile pensare che questo possa accadere in Siria, Paese musulmano ma anche cristiano di antica cultura, dove sopravviveva il barlume di uno Stato che funzionava con servizi dignitosi per gli standard della regione. Eppure qualche cosa di diverso ma non molto dissimile è accaduto nel confinante Iraq, sia pure dopo vent'anni di avventure belliche disastrose di Saddam Hussein e con l'invasione americana del 2003: un milione di profughi iracheni in Siria ne sono la testimonianza vivente.
I regimi autoritari e dittatoriali, nella loro decomposizione, non si trascinano nella caduta soltanto sistemi politici come quello del clan alauita del presidente e del partito Baath ma anche le regole di convivenza di un'intera società. È quello che avviene oggi nella Siria di Assad dove ogni soluzione rischia di arrivare troppo tardi per frenare i sintomi di un'anarchia sanguinosa: il piano Annan e l'idea di una transizione alla yemenita possono rivelarsi tardivi e inutili esercizi diplomatici.
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