Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2012 alle ore 06:40.

My24


ROMA
«Si ritirino gli emendamenti e si collabori a una legge costituzionale che preveda un referendum di indirizzo sul semi-presidenzialismo per far decidere gli elettori». È la proposta che Luciano Violante aveva lanciato alla direzione del Pd di venerdì scorso e che la capogruppo in Senato Anna Finocchiaro ha ripreso ieri per sfidare il Pdl. In alternativa – ha precisato Finocchiaro – si deve ritornare in commissione perché gli emendamenti del Pdl che introducono l'elezione diretta del presidente della Repubblica stravolgono l'impianto del provvedimento ABC all'esame del l'Aula, incentrato sul rafforzamento dei poteri del premier, e non possono quindi essere votati dall'Aula senza preventivo approfondimento. La risposta del Pdl è affidata al vicecapogruppo Gaetano Quagliariello. Ed è un gentile no: «Valuteremo con apertura e lealtà le proposte, ma in questa sede lanciamo un appello a tutto il Parlamento e in particolare al Pd perché si abbia il coraggio di andare avanti».
Dunque, si va avanti. Già oggi pomeriggio, o al più tardi domani, il Senato si esprimerà sull'elezione diretta del Capo dello Stato sul modello francese – modello di governo al quale il Pdl lega la legge elettorale a doppio turno cara al Pd – e gli esiti sono imprevedibili. La Lega Nord, con Federico Bricolo, ha infatti spiegato di essere disponibile a votare sì al semi-presidenzialismo purché venga bilanciato dal «Senato federale forte» proposto negli emendamenti presentati da Roberto Calderoli. Sì del Pdl al Senato federale e sì della Lega al semi-presidenzialismo e il gioco è fatto: sulla carta 149 sì (ai quali vanno aggiunti i 6 finiani) contro 139 no (Pd, Udc e Idv).
La proposta del Pd di un referendum di indirizzo, concordata con il segretario Pier Luigi Bersani e discussa ieri mattina in una riunione del gruppo, è stata fatta da Finocchiaro per uscire dall'angolo in cui il Pdl aveva costretto gli alleati-avversari con il rilancio del modello francese. E qualche crepa nel fronte azzurro, tra i fautori del dialogo sulla legge elettorale, l'aveva pure fatta. Tanto che Ignazio La Russa, nella sua qualità di coordinatore del partito, sentiva il dovere di richiamare tutti all'ordine ben prima che Finocchiaro parlasse in Aula esplicitando la proposta Pd. «È arrivato il momento di votare sì o no. Niente scambi con il varo di una legge costituzionale che introduca il referendum propositivo». Poi, addirittura, la minaccia di scissione: «Io e tanti altri non potremmo restare in un partito in cui artatamente qualcuno voterà contro questo provvedimento, che è stato proposto da Alfano e Berlusconi». Non è un mistero che l'ex aennino La Russa sia contrario all'accordo sulla legge elettorale e punti alla sola "correzione" del Porcellum. Specularmente, il referendum è stato preso di mira dalla presidente dell'assemblea nazionale del Pd Rosy Bindi, nemica del presidenzialismo e favorevole a un sistema elettorale fortemente maggioritario: «Sogno o son desta? Non ricordo che la direzione di venerdì abbia preso in considerazione la proposta di Violante di un referendum di indirizzo sulla forma di governo».
Intanto Stefano Ceccanti e altri cinque senatori del Pd, tra cui Enrico Morando e Giorgio Tonini, mettono a verbale il loro dissenso: la forma di governo semi-presidenziale abbinata al doppio turno di collegio e a una legge incisiva sul conflitto d'interessi «non può essere respinta come soluzione irragionevole, visto l'attuale contesto politico». Ma margini per accordi oramai in Senato non ce ne sono. Il Pdl va al blitz. E solo se il blitz fallirà, è il paradosso, resterà qualche margine per fare una qualche riforma elettorale.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi