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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2012 alle ore 20:30.
L'ultima modifica è del 16 giugno 2012 alle ore 16:17.

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Trentamila soldati e miliziani circondano la città siriana di Homs, sottoposta dall'esercito a pesanti bombardamenti: lo hanno reso noto sabato pomeriggio fonti del Consiglio nazionale siriano (Cns, principale organizzazione dell'opposizione), avvertendo della possibilità di un nuovo massacro fra la popolazione civile. Secondo le organizzazioni siriane per la difesa dei diritti umani - che hanno chiesto un intervento del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon - a Homs si troverebbero ancora un migliaio di famiglie, compresi numerose donne e bambini. Ed è di almeno 36 morti il bilancio delle vittime delle violenze odierne in Siria.

A causa dell'escalation di violenza nel paese, l'Onu sospenderà la missione di osservatori. L'annuncio segna un «momento critico» nella crisi siriana, secondo un comunicato della Casa Bianca. Gli Stati Uniti «stanno consultando i partner internazionali sui prossimi passi da intraprendere per l'applicazione di una transizione politica condotta dai siriani come chiesto dalle risoluzioni 2042 e 2043» del Consiglio di sicurezza dell'Onu.

Barack Obama e Vladimir Putin discuteranno al G-20 i diversi approcci che Washington e Mosca hanno nei confronti della crisi siriana: lo ha assicurato un portavoce del dipartimento di Stato americano. «Ovviamente le divergenze persistono, ma quella sarà una buona opportunità per i due presidenti di incontrarsi e di lavorarci», ha spiegato. Tra gli obiettivi degli Usa non c'é quello di mettere fine all'influenza della Russia su una Siria non più governata da Bashar el Assad: «Abbiamo chiaro che il nostro interesse in Siria è la fine delle violenze commesse contro il popolo siriano e un governo che rispetti la volontà di quel popolo». Se anche «il nuovo governo siriano dovesse continuare ad avere relazioni strette con la Russia, sarebbe nell'ordine naturale delle cose».

Meno ottimista è però il capo della missione Onu Robert Mood, per il quale la pace in Siria sembra non volerla davvero nessuna delle parti in causa. Mentre la rivolta contro il regime di Bashar al-Assad è entrata nel suo 16esimo mese, la comunità internazionale rimane ancora divisa su come fermare il bagno di sangue. La Russia ha smentito di stare discutendo con l'Occidente un cambio di leadership a Damasco e ha messo in guardia gli Stati Uniti dall'adottare misure unilaterali, aggirando il Consiglio di sicurezza dell'Onu. Era stato il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ad affermare che il Cremlino sarebbe disposto ad accettare la destituzione del presidente siriano, in cambio di garanzie sul successore. «Tali discussioni non ci sono state, ha replicato Serghei Lavrov, «perché questo contraddice la nostra posizione». E dunque tutto sembra tornare alla casella di partenza.

Già in occasione della visita a Pechino del presidente russo Vladimir Putin ai primi di giugno, un portavoce del ministero degli Esteri cinese aveva ribadito che l'opposizione dei due governi a «ogni forma di intervento straniero in Siria e a ogni forzatura per un cambio di regime», pur aggiungendo che Mosca e Pechino sono in stretto contatto sulla crisi siriana e chiedono un'immediata cessazione delle violenze e l'avvio del dialogo politico.

Attentati dinamitardi a Baghdad, decine di morti
In Iraq è di almeno 32 morti e 68 feriti il bilancio provvisorio di due attentati dinamitardi contro gruppi di pellegrini sciiti avvenuti in giornata a Shuala e Khadimiyah, quartieri di Baghdad. Una prima autobomba è esplosa alle 11,15 ora italiana su un'autostrada di Shuala, nel Nord della capitale; un secondo veicolo imbottito di esplosivo è saltato in aria circa due ore dopo a Khadimiyah, quartiere dove si sono radunati numerosi pellegrini sciiti per commemorare la morte nel 799 dell'imam Musa Khadim, settimo dei dodici imam venerati dallo sciismo.

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