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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2012 alle ore 18:33.

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Ban Ki-Moon, il segretario generale delle Nazioni Unite, l'ha definito «too important to fail», troppo importante per fallire. Ma il vertice planetario sulla sostenibilità che si apre fra poche ore a Rio de Janeiro, a vent'anni esatti da quel Summit della Terra che riuscì a segnare un a favore del multilateralismo, sembra destinato a concludersi con un pallido documento finale pieno di principi, ma incapace di far cambiare rotta al sistema economico mondiale.
Perché una cosa deve essere chiara: la transizione verso un mondo capace di sostenere i 7 miliardi di esseri umani di oggi e i 9 miliardi di metà secolo, senza compromettere l'esistenza dei loro pronipoti, non è una questione ambientale. È una questione economica.
La domanda cruciale è come fare in modo che le nazioni emergenti e in via di sviluppo siano in grado di costruire fabbriche e posti di lavoro, strade e automobili, senza usare quelle stesse risorse che hanno alimentato la ricchezza occidentale degli ultimi due secoli: i combustibili fossili. In poche parole, i poveri sostengono che i ricchi debbano finanziare il loro sviluppo sostenibile, in modo da riequilibrare un divario economico, antico e profondo, senza però compromettere definitivamente l'atmosfera. Che è di tutti.
Fra le enormi sale di Riocentro, il palazzo dei congressi della metropoli brasiliana che ospita Rio+20, si respira un misto di speranza e di disillusione. La speranza di un'opportunità e la disillusione che il consenso raggiunto nel 1992 – quando George Bush padre venne a dichiarare l'impegno americano per l'ambiente, poi dimenticato – non sarà certo eguagliato nel 2012.
È prevista la partecipazione di Vladimir Putin e di Mahmud Ahmadinejad, ma non di David Cameron, Mario Monti e Angela Merkel. Certo, il motivo è che anche l'euro è «too important to fail». Però a Rio, è arrivato il premier cinese Wen Jiabao, ma non Barack Obama, che avrebbe regalato al vertice brasiliano tutta un'altra prospettiva.
Il mondo è molto cambiato, nei vent'anni che ci separano dal Summit della Terra. Non foss'altro perché lo scettro dello sviluppo economico è oggi in mano a Cina, India e Brasile. «La partita in gioco – commenta il ministro Corrado Clini che, quand'era direttore generale del ministero ha guidato la diplomazia ambientale italiana sin dal primo vertice di Rio – è uno sviluppo economico capace di reinventare processi e prodotti in modo da orientarli verso il risparmio delle risorse, il contenimento delle emissioni-serra e anche la crescita sociale». Il ministro italiano si è detto soddisfatto per i contenuti della bozza di accordo che, approvata ieri durante i colloqui preliminari, verrà adesso presentata ai capi di Stato e di governo. «Contiene molti punti interessanti», dice Clini, visto che «per la prima volta si fa riferimento alla green economy come infrastruttura economica di riferimento». «È solo il minimo sindacale», risponde Elisa Bacciotti di Oxfam Italia, che giudica il documento «vuoto di contenuti».
Stati Uniti e Canada non ne vogliono sentir parlare. I paesi poveri non accettano nulla senza l'impegno economico dei ricchi. E la presidenza brasiliana del vertice – che vorrebbe condurre in porto un vertice altrettanto storico – sostiene la posizione degli emergenti: la prima piorità è quella sociale (la Cina è la prima consumatrice di energia fossile, ma certo non a livello procapite). E se vogliamo dirigerci verso la crescita "verde" bisogna che gli inquinatori di più vecchia data mettano mano al portafoglio. E quello, si sa, comincia ad essere un po' vuoto.
Qualunque sia l'esito finale del summit che va a cominciare, il multilateralismo – lo spirito fondante delle Nazioni Unite – prenderà facilmente un'altra sberla. Anche se poi, tutto andrà considerato nel lungo periodo, alla luce della storia. Il Summit del 1992 partorì tre figli: la Convenzione sui cambiamenti climatici (Unfccc), la Convenzione sulla biodiversità (Cdb) e quella sulla desertificazione (Unccd). Ma tutti e tre, ormai maggiorenni, non hanno oggettivamente mantenuto le speranze dei genitori.
Bill Eastley, esperto di sviluppo sostenibile della New York University, ha dato il benvenuto a Rio+20 con un "tweet" dal sapore amaro: «I delegati arrivano a Rio per celebrare vent'anni dove non è successo niente, dopo un vertice Onu dove non era successo niente». E pensare che lo spirito multilaterale di quell'evento di vent'anni fa, è rimasto scritto – come una vetta irraggiungibile – nella storia del mondo.

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