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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2012 alle ore 09:30.

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ROMA - La costruzione europea dei «piccoli passi» in avanti, degli stop and go e comunque della lenta marcia verso una maggiore integrazione, si dota ora di una «road map» che, stando all'esito del vertice quadrilaterale di ieri a Villa Madama, fotografa le intese raggiunte e le distanze che tuttora separano i paesi che contano. E così, nel bilancio dell'inusuale vertice tra le quattro maggiori economie continentali, in previsione del decisivo summit della prossima settimana, si coglie un deciso passo in avanti, che è tutto politico. È un messaggio diretto ai mercati, per ribadire che l'euro è una costruzione irreversibile, la cui sopravvivenza non è in discussione. Non è poco, se si considera che Angela Merkel ormai parla apertamente di «Unione politica». Mariano Rajoy è ancora più esplicito: Italia, Francia, Germania e Spagna hanno deciso di scommettere «su più Europa, più integrazione politica, economica, bancaria e fiscale».

Fin qui, il contenuto tutto politico del vertice di ieri.
Nell'immediato, la road map definita ieri a Roma pone direttamente sul tavolo del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno un punto di Pil per la crescita. Un pacchetto da 120-130 miliardi, in cui dovrebbe esservi spazio per una serie di misure da attivare in tempi brevi, anche se in una cornice tecnico-giuridica tuttora da definire. L'elenco comprende quella che Mario Monti definisce «una diversa considerazione per la qualità e la composizione della spesa pubblica che riconosca certi investimenti». Dunque una sorta di golden rule, concentrata su progetti europei mirati e strategici, cui è affidato il compito di provare a invertire il ciclo. Posti di lavoro – ha spiegato il presidente del Consiglio – da ottenere «sia con riforme strutturali nazionali sia attraverso una nuova agenda a livello europeo». Vi rientrano i project bond, in un'ottica complessiva di "riorientamento" del bilancio comunitario e dei fondi strutturali in direzione della crescita, ma anche il rafforzamento del capitale della Bei, il completamento del mercato unico soprattutto sul fronte dei servizi, «che resta un asset ancora non sfruttato a pieno». Il tutto nell'ottica di una maggiore integrazione economica, finanziaria, monetaria e bancaria, che possa favorire l'auspicato recupero di fiducia da parte degli investitori.

Nella road map compare ora ufficialmente anche la tassa sulle transazioni finanziarie. Non si parte certo da zero, poiché l'istruttoria a Bruxelles è in corso da tempo. Si tratta ora di mettere a punto i dettagli operativi, fermo restando che si dovrà agire – lo ha specificato Francois Hollande – attraverso il meccanismo della cooperazione rafforzata. Un sistema per superare la netta opposizione di David Cameron, contrarissimo a interventi che possano minare l'integrità e la solidità della City.

Dopo il vertice di ieri lo scudo antispread, rilanciato da Monti a Los Cabos è definitivamente tramontato? La posizione di Angela Merkel non sembra aprire spiragli al momento. Occorrono garanzie e un rigido controllo, abbiamo bisogno di misure che ristabiliscano l'ordine, osserva il cancelliere tedesco. Dunque non è questione di «volere o non volere», ci sono i Trattati e i patti vanno rispettati. Crescita e finanze solide sono le due facce della stessa medaglia, ripete Angela Merkel. Le finanze solide «sono il presupposto della crescita». Accenti diversi rispetto a quelli enunciati da Hollande, che al contrario sostiene che disciplina e rigore «non devono significare austerità».

Alcune aperture per la verità sullo scudo antispread erano giunte nei giorni scorsi da Berlino. Tattica negoziale? Se ne riparlerà il 28 e 29 giugno, quando Monti riproporrà il suo ragionamento: perché mai paesi che hanno varato importanti riforme strutturali, e possono vantare una posizione di bilancio in zona sicurezza devono essere penalizzati da eccesso di spesa per interessi, causata dall'impennata dello spread? Nel borsino delle possibilità di effettiva realizzazione, il diverso e più intenso coinvolgimento del fondo salva-stati (nella sua strutturazione definitiva, l'Esm) nell'acquisto di bond dei paesi in difficoltà appare tuttavia al momento alquanto remoto. Si dovrebbe passare dalle forche caudine della trojka, nella visione iper-rigorista della Merkel, a meno che non si individui un meccanismo diverso, sul quale si sta ragionando in queste ore in sede tecnica. Torna in primo piano il ruolo della Bce.

Quanto agli eurobond, la strada non è certo in discesa, ma la prospettiva – stando almeno alla dichiarazione di intenti di Hollande – non è nemmeno decennale.

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