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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2012 alle ore 08:12.

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Gli ingredienti speziati per un'escalation internazionale del conflitto siriano ci sono tutti, per questo sia la Turchia che la Siria calibrano le dichiarazioni. La Siria ha ammesso di avere abbattuto venerdì con la sua contraerea di fabbricazione russa un Phantom F-4 turco sostenendo che «violava lo spazio aereo siriano a bassa quota». La Turchia, dopo una girandola di consultazioni tra vertici politici e militari, ha dichiarato con un comunicato del primo ministro Recep Tayyip Erdogan che «è pronta a intraprendere i passi necessari una volta accertate tutte le prove». Il presidente Abdullah Gul, affermando che non si può ignorare la vicenda, ha annunciato un'inchiesta, senza escludere che il «veivolo a causa dell'alta velocità abbia potuto violare, non intenzionalmente, lo spazio siriano».
In una conferenza stampa, preceduta da un ennesimo summit tra Erdogan e i generali, oggi forse avremo la versione definitiva degli eventi.
Il coinvolgimento dell'Alleanza Atlantica, per ora assai improbabile, potrebbe essere richiesto dalla Turchia sulla base dell'articolo del Patto che considera l'attacco contro un qualsiasi Stato membro alla stregua di una minaccia contro tutti gli altri, legittimando un eventuale intervento. È da notare che il caccia turco è decollato dalla base di Malatya-Erhac dove è installato il nuovo sistema radar anti-missile che tiene di mira sia la Russia che l'Iran. Ed è questa, oltre alle basi russe in Siria come Tartous, una delle svariate ragioni per cui Mosca esita ad abbandonare Assad al suo destino senza avere in cambio una consistente contropartita.
Questo episodio potrebbe costituire un ostacolo, o un incentivo, a seconda dei punti di vista, alla convocazione della conferenza sulla Siria, proposta dalla Russia e promossa dalle Nazioni Unite, dove i vertici dell'Onu vorrebbero che partecipasse anche l'Iran: una presenza contestata dagli occidentali e dal mondo arabo sunnita schierato contro Damasco e Teheran, storico alleato degli Assad.
In questo drammatico frangente, in cui a quanto pare siriani e turchi stanno collaborando per cercare in mare i due piloti, la Turchia ha esibito una preoccupante approssimazione, come dimostrano le dichiarazioni del presidente Gul. E senza voler fare un processo alle intenzioni, per cui i turchi avrebbero potuto anche cercare un casus belli o mettere alla prova i radar siriani, da venerdì si è innescato un tourbillon di comunicati confusi e fuorvianti.
Nella crisi siriana la Turchia è dentro fino al collo, da quando Erdogan ha abbandonato il suo ex alleato e amico Bashar Assad. Al confine ha impiantato campi profughi per oltre 30mila rifugiati, ospita il comando del Free Syrian Army e le riunioni del gruppo Friends of Syria, favorisce gli insorti e, nonostante poco convincenti smentite, ha fatto entrare dall'altra parte armi, guerriglieri e aiuti. A un certo punto qualche mese fa aveva più volte minacciato di volere insediare alla frontiera una "buffer zone", una zona cuscinetto. Ma non è ancora chiaro fino a che punto i vertici militari, impegnati da 30 anni nella guerriglia anti-curda, abbiano l'intenzione di spingersi in uno scontro aperto che rischia di destabilizzare l'intera regione.
Con il sostegno finanziario dei sauditi e del Qatar e il corordinamento della Cia, secondo quanto scrive il New York Times, ai confini con la Siria si sta cercando di sostenere le schiere degli insorti: questo sembra il massimo che per il momento sono disposti a fare gli Stati Uniti. Tutti, tranne russi e iraniani, vogliono che Assad se ne vada ma nessuno è disposto a scendere sul piede di guerra e un po' come avvenne in Bosnia negli anni 90 dalla Siria si aspettano notizie sul prossimo massacro.
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IL PREMIER ISLAMICO

In difficoltà
Recep Tayyip Erdogan (nella foto), leader dell'Akp, il Partito islamico per la giustizia e lo sviluppo, è premier dal 2003. Ieri, dopo una girandola di consultazioni, ha dichiarato che la Turchia «è pronta a fare i passi necessari una volta accertati i fatti». Intanto però il presidente, Abdullah Gul, dichiarava di non poter escludere una violazione dello spazio siriano

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