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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2012 alle ore 06:39.

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IL CAIRO. Dal nostro inviato
«Rachid Mohamed Rachid aveva capito come attrarre investimenti stranieri in Egitto - dice Hasan Malek - le decisioni che aveva preso erano corrette, dobbiamo mantenerle». Non è un'opinione economica qualunque. Rachid era il ministro di Mubarak per l'Industria e il Commercio. Ora vive negli Emirati, inseguito da un mandato d'arresto emesso dal nuovo Egitto. Malek è un fratello musulmano: uno degli imprenditori di spicco della fratellanza in quel nuovo Egitto. "Zakat" è la porzione di ricchezza personale che ogni buon musulmano deve offrire ai bisognosi. È religiosamente obbligatorio l'atto, non la percentuale della carità. Spesso si crede che da quell'atto monetario minimo imposto dal Profeta, il fondamentalismo non abbia fatto passi avanti; che le attività economiche delle fratellanze si svolgano fra le moschee e qualche banca islamica.
L'ideologia dei Fratelli musulmani egiziani «ha più cose in comune con i repubblicani americani che con al-Qaida – scrive Avi Asher Shapiro, del giornale online Salon -. È un partito del libero mercato guidato da ricchi uomini d'affari il cui programma comprende privatizzazioni e investimenti stranieri». Malek, che sulle privatizzazioni riconosce qualcosa di buono del regime di Mubarak, ha da poco fondato l'Egyptian Business Development Association. È un gruppo di investitori e industriali privati del settore tessile e alimentare, legati alla fratellanza. «Liberalizzare l'industria egiziana e attrarre investimenti diretti internazionali», è il mandato dell'associazione.
Evidentemente la cinquantina di iscritti non si chiede se qualche investitore in Occidente dubiti dell'affidabilità di un Egitto governato da loro. Sono convinti di parlare la stessa lingua. Aggiunge Hasan Malek, titolare del gruppo industriale che porta il suo nome: «Vogliamo trasformare l'Egitto da un Paese di consumatori a uno di produttori». Come i capitalisti di tutto il mondo, anche gli islamisti sono favorevoli alla globalizzazione ma non necessariamente a casa loro: «Dobbiamo educare una forza lavoro capace, affinché le industrie nazionali comincino a produrre per diminuire la nostra dipendenza dalle importazioni - spiega -. Non possiamo sostenere i necessari investimenti per lo sviluppo se non aumentiamo gli standard produttivi. Il futuro degli investimenti è nelle mani dei privati».
È anche per questo che il sindacalista comunista Hossam el-Hamalawy, blogger tra gli eroi di piazza Tahrir, teme la fratellanza quanto il vecchio regime: «La loro politica sociale è lo "zakat". Non prevedono programmi di sviluppo statali, niente sussidi né servizi pubblici. Se dovessi definire la loro politica economica, sceglierei il liberismo della destra americana».
L'uomo di maggior spicco dei Fratelli musulmani è Khairat al-Shater: il vero leader politico e tra i più importanti imprenditori del Paese. Ha interessi in una decina di settori produttivi. Una sua convinzione è che gli imprenditori debbano avere un ruolo diretto nella gestione dello Stato e nei programmi di privatizzazione. Ora che la fratellanza è dentro il potere politico, Shater è un esempio vivente di questo modello.
Nel regime di Mubarak, Shater ha passato lunghi periodi in galera: ma non è chiaro se per le sue attività politiche o economiche. Dei 20mila processi che il regime aveva intentato contro i dissidenti, molti erano rese dei conti economiche. Furono 72 le imprese e le società vicine agli islamisti chiuse per motivi di "ordine pubblico". È più facile che lo scontro fra Governo e islamisti fosse una contesa fra capitalismi: grandi conglomerati e finanza da una parte; piccola e media impresa, libere professioni dall'altra. Shater e gli altri imprenditori legati alla fratellanza erano concorrenti diretti del gruppo di potere di Gamal, il figlio modernista di Mubarak.
Ci sono le imprese private possedute dagli imprenditori legati al movimento e quelle che esistono per finanziarlo direttamente. Il suo impero economico è un segreto uguale a quello del sistema industriale delle forze armate. «Non è possibile sapere quante società possiedano i Fratelli musulmani, né quanti milioni guadagnino - spiega Zeinab Abul Magd, esperta del movimento islamista per il giornale Tahrir –. Ma le 72 imprese che il vecchio regime aveva confiscato nel 2007 ci aiutano a capire la natura del loro business». Negozi, società commerciali, saloni automobilistici, agenzie di viaggio per i pellegrinaggi: «Come gli uomini d'affari del vecchio regime, anche i fratelli registrano le loro imprese col nome dei parenti». Diversamente dal suo braccio politico, il partito Libertà e giustizia, la fratellanza è un'organizzazione non governativa religiosa per la promozione della fede e le opere sociali. Ma rifiuta di registrarsi all'albo delle Ong, perché dovrebbe rendere pubbliche le fonti dei suoi finanziamenti.
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