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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2012 alle ore 06:37.

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Arriva alla Camera dopo il pranzo con Silvio Berlusconi portandosi dietro quel commento sferzante del Cavaliere sui possibili esiti del vertice Ue: «C'è l'indeterminatezza più assoluta». Un commento che Mario Monti non lascerà cadere ma che, anzi, riprenderà nel suo intervento alla Camera dove si discutono le mozioni Ue e dove lui stesso rappresenta quale sarà la posizione dell'Italia al Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi. Un vertice «difficile», dice il premier senza dare nulla per scontato.

Il punto cruciale è se il Governo italiano avrà – o no – uno spazio negoziale per spuntare il risultato che gli interessa: un meccanismo che raffreddi gli spread. Ecco, quello spazio negoziale che sembra chiuso da bozze europee che già circolano, Monti dice di volerlo strappare, se necessario, lavorando «a oltranza fino a domenica». E spiega qual è il suo obiettivo: «Usare i firewall, Efsf e Esm, per evitare divaricazioni eccessive degli spread degli Stati che sono in regola con la disciplina di bilancio: l'Italia chiede un meccanismo che si applichi a chi ha rispettato le regole».

Insomma, una norma ad hoc per chi ha fatto i «compiti a casa» ed ha le «carte in regola». Il problema è che già c'è stato uno stop da Berlino. Ma il premier rimbecca il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann: «A giudicare da un'intervista, non ha capito questa proposta». Quella, cioè, di usare l'Efsf-Esm per intervenire sul mercato secondario dei titoli che, ribadisce, riguarderebbe solo i Paesi «in regola con la disciplina fiscale e non quelli che chiedono di essere aiutati perché non ce la fanno: la nostra proposta non è una stabilizzazione del tasso di interesse perdendo il controllo del tasso da parte della Bce». E scandisce: «Non è in gioco il controllo della Bce».

Quello che invece è in gioco e che il premier teme massimamente è lo spettro della richiesta formale di aiuto per riuscire ad attivare le risorse del Efsf-Esm, come prevedono gli statuti e che la Germania non ha intenzione di cambiare. Ma Monti è determinato a non prendere quella strada che per ultima ha preso la Spagna. «L'Italia non intende chiedere quegli aiuti riservati a quei paesi che non hanno fatto questa severa cura di risanamento». Su questo passaggio si gioca l'esito del Consiglio Ue: se, cioè, l'Italia riuscirà a spuntare una "correzione" sull'attivazione dei fondi o se invece potrebbe essere costretta a chiedere un aiuto. A evocare scenari negativi è Pier Luigi Bersani che vede il premier in serata e uscendo dirà «saremo con Monti anche se il vertice va male».

Del resto è lo stesso Monti a chiedere, alla Camera, che in «un negoziato così difficile vi sia un tandem Governo-Parlamento» e soprattutto non ha intenzione di cedere con la Germania. «Non sarà una riunione in cui si apporrà un visto formale a documenti pre-preparati: Berlusconi ha parlato giustamente di indeterminatezza ma c'è uno spazio negoziale molto aperto». Ed è qui che "minaccia" una trattativa a oltranza con l'Europa. «Sono pronto a restare oltre il limite previsto della riunione e lavorare fino a domenica. Lunedì, all'apertura del mercato, servirà un meccanismo per reggere alle tensioni del mercato, irrobustiti da un pacchetto per la crescita».

Quello che è in ballo è chiaro, la fine della moneta: «Non possiamo permetterci che la costruzione europea possa andare distrutta». Monti può soprattutto rivendicare le riforme tra cui quella del lavoro di cui scriverà alla Ue mentre con il Parlamento si impegna a risolvere il problema «degli esodati e di alcune norme di flessibilità in entrata». Questioni che vedrà al suo ritorno dopo una dura trattativa con Angela Merkel a cui manda un messaggio finale: «Non ci sono alcuni Stati ad avere un Parlamento e altri no, ad avere una Corte Costituzionale ed altri no». Insomma, non ci può essere un dominus in Europa.

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