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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2012 alle ore 16:52.

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Mario MontiMario Monti

Sarà la tattica prevertice che lo prevede. Sarà la necessità di soddisfare quella "strana maggioranza" che da Roma sollecita un "segnale forte" (fino al veto). Sta di fatto che il premier Mario Monti il "colpo d'avvertimento" contro le posizioni più rigide (leggi Germania) l'ha lanciato ieri a Bruxelles in maniera forte e chiara alla vigilia del Consiglio europeo. Occasione la cerimonia di assegnazione al presidente del Consiglio italiano del premio dell'associazione dei contribuenti europei nella sede di rappresentanza della Baviera davanti al primo ministro lussemburghese Jean Claude Junker (che definisce Monti un «combattente»).

Il messaggio del "professore" è semplice: l'Italia non darà il via libera alla cooperazione rafforzata sulla Tobin tax (un sistema di accordo per il quale è sufficiente il consenso di nove Stati membri) se «non ci sarà anche per altri aspetti, come la politica finanziaria di gestione del mercato dei titoli sovrani». Insomma, Monti torna alla carica sulla necessità di trovare un meccanismo (sia il Fondo Salva Stati o la Bce) che consenta ai Paesi che hanno approvato il fiscal compact e avviato riforme strutturali di finanziare il loro debito a tassi non eccessivamente gravosi.
Parlando della tassa sulle transazioni finanziarie (Tobin tax), Monti ricorda di essere stato «studente di Tobin» e che «il governo precedente aveva una posizione negativa sulla tassa; noi siamo più aperti e non escludiamo una "cooperazione rafforzatà"». «Ma vogliamo – aggiunge Monti – una visione più equilibrata e più ampia: se ci si muove in questo senso, allora la nostra aspettativa è che ci dovrebbe essere una cooperazione rafforzata anche nella politica finanziaria, per esempio per porre rimedio ai fallimenti del mercato sul debito sovrano».

Vigilia di contatti ieri in vista del vertice tra i palazzi di Bruxelles e le principali capitali europee. I pericoli maggiori potrebbero anche non arrivare direttamente dalla delegazione tedesca ma da Paesi tradizionalmente euroscettici come Regno Unito e Danimarca o da altri che non hanno manifestato chiaramente le loro posizioni come Olanda, Svezia o Finlandia e che potrebbero ora far naufragare la proposta italiana sul salvaspread (sostenuta sulla carta da Spagna e Francia) se venisse a mancare un collegamento diretto tra misure di breve termine (quelle necessarie a risolvere l'emergenza dell'Eurozona) e misure di medio-lungo termine. Per Monti convincere la Germania e convincere i mercati sull'introduzione di un meccanismo di contenimento degli spread sono «entrambe sfide molto impegnative»: ma, aggiunge il presidente del Consiglio, «le sfide ci piacciono e tutti in Europa fanno del loro meglio per affrontarle». Quanto alla Germania Monti rileva che «è sempre stata una forza politica decisiva nel modellare la forma dell'Europa, e mi aspetto che in questo Consiglio europeo prosegua con questa visione. Mi aspetto un pacchetto per la crescita, un approccio di breve periodo per i problemi che sono lì, nei mercati, e un percorso di medio e lungo termine di maggiore integrazione». Il capo di Governo lascia inoltre intendere di essere fiducioso di convincere la Germania a rivedere le proprie posizioni su alcuni temi, come ad esempio gli eurobond.

Di sicuro c'è che Monti si presenta al vertice forte dell'approvazione definitiva della riforma sul mercato del lavoro (applaudita ieri anche dal presidente della Commissione Barroso), usa parole di apprezzamento sul ministro Fornero («le confermo certamente la fiducia») nonostante le polemiche sulla sua intervista al Wall Street Journal. Più in generale sull'Italia il premier tiene a precisare che «stiamo portando avanti uno di quei consolidamenti che raramente si vedono. L'Italia aveva concordato il pareggio di bilancio per il 2014, il mio predecessore ha dato prova di impegni ambiziosi decidendo di arrivarci nel 2013. Quell'impegno noi non l'abbiamo modificato».

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