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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2012 alle ore 06:38.

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BRUXELLES. Dal nostro inviato
Settimane di pressioni sulla Germania per interventi immediati di sostegno al debito di Italia e Spagna potrebbero finalmente aver dato qualche frutto, se le prime indiscrezioni uscite nella serata di ieri da una riunione dello Euro Working Group, composto dai tecnici dei 17 Paesi dell'eurozona, verranno confermate oggi dai capi di Stato e di Governo. Fra le opzioni sul tavolo, interventi dei fondi salva-Stati Efsf e Esm per acquistare i titoli dei due Paesi e la possibilità che l'Esm, il fondo permanente che dovrebbe entrare in funzione da luglio, perda lo status di creditore privilegiato (che ha messo in fuga gli investitori privati dopo l'annuncio degli aiuti alle banche spagnole) ed eventualmente possa ottenere una licenza bancaria, per ottenere risorse dalla Banca centrale europea. Su nessuno di questi elementi, peraltro, c'è per ora conferma che un accordo sia stato raggiunto.
Per tutta la giornata, il Governo di Berlino, anche se informalmente era trapelato qualche segnale di possibili concessioni, aveva mantenuto pubblicamente una linea di chiusura pressoché totale a tutte le proposte di intervento di breve termine per calmare i mercati. Non a caso, la mattinata si era aperta con un titolo del quotidiano economico Handelsblatt che riassumeva così, in un titolo di prima pagina, la posizione tedesca: "Nein! No! Non!". All'arrivo a Bruxelles, il cancelliere Angela Merkel aveva preferito concentrarsi sui temi della crescita, anch'essi tabù fino a qualche settimana fa quando la sua attenzione esclusiva era dedicata al rigore. «Approveremo il pacchetto per la crescita - ha detto - la disoccupazione giovanile al 20% è troppo alta». Forse, il dato diffuso poco prima, sulla disoccupazione ora in aumento anche in Germania, le aveva indicato che anche la superpotenza economica d'Europa non è immune alla crisi. Fonti a lei vicine avevano però invitato a «non esagerare il panico» sulla situazione di mercato, scoraggiando quindi ogni supposizione che la Germania fosse pronta a fare concessioni al vertice su un'azione anti-spread.
Più tardi, in un'intervista al «Wall Street Journal», il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, aveva parlato di eurobond possibili solo una volta completata «un'unione fiscale irreversibile e ben coordinata», una posizione espressa più volte da Berlino e che fa pensare che gli eurobond siano accettabili per la Germania solo alla fine di un percorso di diversi anni. All'interpretazione del quotidiano americano, che era possibile un'accelerazione dei tempi per la messa in comune del debito europeo, il portavoce di Schaeuble aveva opposta una immediata smentita.
Schaeuble ha però ricordato un fatto importante, e cioè che l'Efsf e l'Esm, dopo una revisione del loro mandato l'anno scorso, hanno già la possibilità di intervenire acquistando titoli di Stato. Ha detto inoltre che la Germania era pronta a spingersi fin dove necessario per ottenere un accordo "sostenibile" in Europa. Questo sembra aver costituito la base di partenza del negoziato, soprattutto nella riunione di ieri sera fra gli "sherpa" dell'eurozona.
La cautela in pubblico della signora Merkel (che ieri sera ha cancellato una conferenza stampa già prevista) è dettata anche dal fatto che oggi stesso, nel primo pomeriggio, appena finito il pranzo dei leader dei Paesi della zona euro, dovrà volare a Berlino per partecipare al voto del Bundestag per l'approvazione del "fiscal compact", il nuovo patto europeo sulle regole di bilancio, fortemente voluto dal cancelliere, e dell'Esm. Un voto nel quale la maggioranza dei due terzi necessaria per la ratifica è assicurata dall'accordo con le opposizioni, ma in cui il cancelliere rischia di perdere qualche pezzo della propria maggioranza se i deputati piùà conservatori giudicheranno che ha fatto troppe concessioni a Bruxelles.
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