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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2012 alle ore 08:13.

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Nella foto Roberto MaroniNella foto Roberto Maroni

La Lega si riunisce in congresso dopo dieci anni. Per il Carroccio un pezzo di storia finisce e uno inizia, per quanto all'interno di un percorso già segnato: oggi, al Forum di Assago (Milano), sarà la volta degli amministratori locali meno conosciuti ma già considerati le nuove leve, dei leader nazionali, infine dei tre "big" Roberto Cota (presidente del Piemonte), Flavio Tosi (sindaco di Verona) e Matteo Salvini (neo segretario della Lega lombarda); poi domani, intorno alle 14, Roberto Maroni, già ministro degli Interni e adesso triumviro del partito (insieme a Roberto Calderoli e Manuela Dal Lago), verrà eletto segretario federale. Tutti i triumviri sono ufficialmente candidati alla segreteria, e per tutti e tre domenica è prevista la presentazione del programma.
Per il dimissionario Umberto Bossi, leader storico del movimento, è già pronto il ruolo di presidente a vita. Un posto ritagliato proprio dal nuovo statuto, che verrà votato domani mattina, dove un articolo è stato scritto apposta per lui. Esce così di scena il fondatore del Carroccio, i cui collaboratori più stretti (tra cui parte della famiglia) sono stati toccati dalle inchieste di tre procure (Milano, Napoli e Reggio Calabria).

Maroni, a capo di una corrente più moderata, prende il suo posto, sottolineando da giorni, tra le righe, che il suo mandato non sarà segnato da un commissariamento o da una sorta di controllo dei padri fondatori, ma da pieni poteri attraverso cui rinnovare il partito.
L'Europa e la questione settentrionale saranno i tasti più battuti dalla Lega. Maroni lo ha sottolineato presentando ieri la due giorni milanese. «I due slogan - ha detto - saranno "Per l'Europa dei popoli" e "Prima il Nord"».
Sono queste le due parole d'ordine che faranno da sfondo al palco allestito al Forum di Assago. «Sabato (oggi per chi legge, ndr) - ha spiegato Maroni - ci sarà scritto Europa dei Popoli a significare che la Lega è attenta all'Europa, ma diversa da quella attuale». Lo slogan per la giornata di domani sarà invece "Prima il Nord" perché «vogliamo riprendere in mano, da protagonisti, la questione settentrionale».
Intanto, tra slogan vecchi e nuovi, da segnalare una piccola rivoluzione d'immagine: nel nuovo simbolo del partito scompare il nome di Bossi, e rimane solo la sagoma del mitico guerriero Alberto da Giussano. Come a indicare la fine di un personalismo che ha fatto il suo tempo.

E in effetti, dall'ultimo congresso, nel Carroccio è successo di tutto: dall'alleanza con Forza Italia prima e Pdl poi, alla fine dei governi Berlusconi fino all'attuale opposizione nei confronti dell'esecutivo tecnico di Monti. Per il Carroccio le bandiere agitate, sia a Roma che al Nord, sono state ben riconoscibili: dopo la questione morale degli anni Novanta, nelle regioni settentrionali si è continuato a parlare nei comizi di secessione, ma anno dopo anno una nuova generazione di tecnici leghisti ha cominciato a studiare nei ministeri e in Parlamento i meccanismi del federalismo fiscale.
Tutti processi rimasti a metà, ma che le nuove leve maroniane intendono riproporre. I nodi da sciogliere, dal punto di vista della politica economica, sono sostanzialmente due: da una parte la volontà dichiarata di avere uno Stato sburocratizzato ma dall'altra la tentazione di mantenere tutti gli enti istituzionali territoriali (province) a prescindere dal loro costo; la lotta agli sprechi ma la spinta statalista di mantenere in mano pubblica (e dei partiti) le partecipate, anche quelle meno efficienti.

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