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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2012 alle ore 08:14.

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Era dai tempi di Nasser che un presidente egiziano non andava in piazza a parlare alla folla. Sadat l'aveva sempre evitata; Mubarak ne era rimasto a una distanza siderale. L'abbraccio che Mohamed Morsi ha avuto dai suoi, in piazza Tahrir, è l'inizio di una fase che si preannuncia battagliera.
Non potendo domani giurare formalmente davanti al Parlamento, chiuso dai militari, ma con i soli giudici della Corte costituzionale come testimoni, il nuovo capo dello Stato venuto dai Fratelli musulmani ha voluto anticipare l'atto «davanti al popolo egiziano». Simbolico e retorico. Morsi ha giurato «di preservare il sistema repubblicano», di voler lasciare «il potere nelle mani del popolo….Non c'è nessun altro sopra di voi».
La folla ha festeggiato. Ora che la presidiano i Fratelli musulmani, con la loro capacità di mobilitazione non è più difficile fare il tutto esaurito. I giovani e i partiti di opposizione che avevano iniziato la rivolta nel gennaio dell'anno scorso, non riuscivano più a essere convincenti come un tempo. «Svegliatevi, Morsi è il presidente», gridava ieri la folla.
Il passaggio più importante del lungo discorso in piazza Tahrir, simile al primo in televisione, qualche giorno fa, è però stato un altro: «Non rinuncerò alle prerogative del presidente». È la sfida allo Scaf, la giunta militare guidata dal generale Tantawi, che ha già stabilito tutto: gli scarsi poteri presidenziali, la Commissione che scriverà la nuova Costituzione, le date e le regole per rieleggere il Parlamento e molto altro. In realtà quella di Morsi è una frase d'effetto per la folla che lo ascoltava, non una sfida. Almeno non adesso. Mancando una Costituzione, non è così impegnativo promettere di difendere le prerogative presidenziali che nessuno conosce.
Probabilmente fratellanza e militari si sono già accordati su tutto, nella fase iniziata con l'annuncio della vittoria di Morsi e che si concluderà forse entro l'anno, con le nuove elezioni parlamentari. Anche sulla lista dei ministri del Governo che, secondo programma, Morsi dovrebbe annunciare oggi, subito dopo il giuramento presidenziale formale davanti alla Corte costituzionale. Non è escluso qualche ritardo, ma è probabile che i militari tengano duro sulle loro pretese: scegliere loro i ministri di Difesa, Interni ed Esteri.
Il discorso di Mohamed Morsi è stato molto laico: in Egitto si usa la definizione "civile". Il nuovo presidente ha insistito sul carattere di Stato «civile, patriottico e costituzionale» che vuole difendere. «Allah u'akbar», il grido ripetuto della folla, non ha messo in allarme gli osservatori che, a volte con una certa nevrosi, cercano segni di repubblica islamica in tutto ciò che i fratelli dicono e fanno. «Dio è grande» è un'esclamazione molto comune. Ma verso la fine del discorso, pur sapendo di essere sotto osservazione, Morsi ha promesso di chiedere agli americani la liberazione di Omar Abdul Rahman. È lo "sceicco cieco" egiziano, considerato il capo di Jama'a Islamiya, condannato all'ergastolo per essere stato l'ispiratore del primo attentato alle Torri gemelle di New York, nel 1993. Non è un bel segnale chiedere la libertà per l'apripista di al-Qaida. È difficile che Morsi non ci avesse pensato.
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