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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2012 alle ore 08:10.
Nel corso della settimana due eventi sono stati determinanti per le sorti delle democrazie occidentali: la decisione di giovedì della Corte Suprema degli Stati Uniti, che ha approvato la riforma sanitaria del presidente Obama, e il vertice di Bruxelles, il cui risultato, soprattutto con lo scudo anti spread, a parte le incertezze sulla sua attuale applicazione, costituisce certamente un intervento avverso alla speculazione finanziaria e al pericolo della dissoluzione dell'euro. Le altre indicazioni del Consiglio europeo riguardanti in modo particolare gli impegni da parte dei Governi degli Stati membri a favore della crescita e dell'occupazione (Compact for Growth and Jobs) hanno tuttavia le caratteristiche di dichiarazioni di intenti e lasciano aperto lo scontro egemonico tra le contrapposte soluzioni di un'Europa tedesca e di una Germania europea.
I due avvenimenti, sull'ultimo dei quali ha certamente influito in modo determinante il Governo italiano con il premier Mario Monti e il ministro Enzo Moavero Milanesi, sono tra di loro legati da un duplice filo rosso. Il primo riguarda la crisi delle democrazie nel mondo occidentale e la sfiducia e il distacco dei cittadini dalla politica, che non evitano certo i disastri recessivi della globalizzazione del capitalismo finanziario. Il secondo unisce due, apparentemente slegate, decisioni di rovesciamento di posizioni culturali che riguardano la struttura stessa delle democrazie costituzionali e della civiltà occidentale. Val quindi la pena di esaminarli in un'unica prospettiva.
Vi è una prima importante riflessione da fare sulla democrazia americana e i suoi valori fondamentali, cioè l'importanza che in essa ha la tripartizione dei poteri, e il sistema di controlli e di equilibri, ad evitare che vi siano degenerazioni da parte del potere esecutivo, attratto da ambizioni più o meno dittatoriali; nonché del potere parlamentare, vittima possibile, come già aveva previsto Tocqueville, della dittatura delle maggioranze; infine di quello giurisdizionale, con i giudici strumenti di una parte politica.
Pur con i suoi difetti e i suoi conflitti la tenuta della democrazia americana nella citata decisione è un palese esempio. Non possiamo peraltro dimenticare che la Corte Suprema inizialmente bocciò le più significative leggi del New Deal. Non è un caso allora che F.D. Roosevelt inutilmente propose nel 1937 di portare a quindici il numero dei giudici. Ebbene, l'attuale maggioranza di cinque giudici conservatori, nominati da pPresidenti repubblicani, fra cui il Chief Justice Roberts, fu decisiva nel 2010 quando, nel famoso caso Citizen United v. Federal Election Commission, stabilì che qualunque legge che avesse posto un limite ai contributi in denaro da parte delle società per le campagne elettorali dei candidati era incostituzionale. Come ha notato Joseph Stiglitz, nel suo recentissimo libro The price of inequality, tale sentenza, riconfermata anche di recente, ha costituito una perdita di potere politico del cittadino americano, sostituendo il principio fondamentale della democrazia: "one person one vote" con l'altro "one dollar one vote". D'altra parte la stessa politica economica del democratico presidente Obama, nell'affrontare la depressione del 2008, era stata dettata dagli uomini da lui scelti, ma condizionati da Wall Street e legati a Robert Rubin, cioè alle grandi banche fra cui principalmente Goldman Sachs. È così che furono aiutati largamente gli istituti finanziari e in particolare la Aig a risolvere col denaro dei contribuenti i loro gravissimi problemi di insolvenza, come ricorda la puntuale ricostruzione di Krugman e Wells nell'ultimo numero della New York Review of Books. Ma l'Affordable Care Act ha riscattato in un colpo solo sia Obama sia la Corte Suprema, lottando contro le disuguaglianze e dotando obbligatoriamente tutti gli americani di una assicurazione per le cure sanitarie, con aiuti finanziari a chi non è in grado di sostenere il pagamento del premio. Il presidente estensore, il conservatore Roberts, è stato determinante per raggiungere la maggioranza di cinque a quattro, rivendicando la costituzionalità della legge e l'indipendenza della Corte nei confronti del potere politico, con una dichiarazione che così suona: «Non è nostro compito proteggere il popolo dalle conseguenze delle sue scelte politiche».
I risultati del vertice europeo, invece, pur apprezzabili nei principi, non hanno portato per ora a nessun effettiva condivisione delle responsabilità all'interno dei Paesi membri per la costante opposizione di Angela Merkel, la quale è ingiustamente, a parer mio, ritenuta l'unica responsabile della lentezza di ogni decisione a favore di una maggiore unità europea, che non sia qualche medicamento omeopatico per evitare la caduta dell'euro. Essa infatti altro non può fare per non cadere sotto gli strali della Corte costituzionale di Karlsruhe, che proprio all'inizio del mese ha accusato il Governo Merkel di non aver consultato il Bundestag, la sola istituzione direttamente eletta nella democrazia parlamentare tedesca, prima di decidere piani per il salvataggio dell'euro. La Corte di Karlsruhe teme che il Parlamento diventi irrilevante e che venga ceduta parte della sovranità alle istituzioni europee. È così che il presidente della Corte federale tedesca Andreas Vosskuhle ha recentemente espresso la sua preoccupazione affermando che «le decisioni essenziali sono negoziate all'interno della burocrazia di Bruxelles in sessioni notturne del Consiglio europeo, o in qualche altro posto, senza adeguate pubbliche discussioni e influenze».