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Questo articolo è stato pubblicato il 03 luglio 2012 alle ore 06:38.

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Una ripartenza guardando al passato. Le elezioni presidenziali messicane le ha vinte il conservatore Enrique Pea Nieto, governatore dello Stato del Messico, avvocato, 45 anni, ricco, bello e sposato con una star televisiva. Ma soprattutto candidato del Pri, il Partito rivoluzionario istituzionale al potere dal 1929 al 2000. «La dittatura perfetta», secondo il Nobel per la Letteratura Mario Vargas Llosa. Pea Nieto, secondo i dati non ancora definitivi, porta a casa il 38% dei voti, si è proclamato vincitore, mentre l'avversario diretto, Andres Manuel Lopez Obrador, del Prd (Partito rivoluzionario democratico) incassa il 32% dei voti.
Esce sconfitto il Pan, partito di centrodestra di Felipe Calderon, il presidente uscente che negli ultimi 4 anni ha inanellato record negativi: lo strapotere dei narcos che hanno ucciso 60mila persone, riforme annunciate e mai realizzate, un'economia in crescita frenata incapace di reagire alla concorrenza cinese. La candidata del Pan, Josefina Vazquez Mota, ha ottenuto il 25% dei voti.
Pea Nieto, vicino all'Opus Dei e sostenuto da Televisa, il maggior network del Paese, assumerà l'incarico il prossimo dicembre. Resterà al potere per sei anni e con lui il Pri, che aveva governato il Messico per 71 anni prima della sconfitta nel 2000 in cui scontò un'impronta autoritaria e i numerosi casi di corruzione. «Siamo una nuova generazione, non torneremo al passato - ha dichiarato il presidente eletto -. I messicani hanno dato un'altra opportunità al nostro partito, la onoreremo con i risultati».
Lopez Obrador non ha ancora riconosciuto la sconfitta e ha dichiarato «di attendere i dati definitivi». Qualcuno teme si ripeta il copione di sei anni fa quando Obrador denunciò brogli (che effettivamente furono registrati) e spinse i sostenitori in piazza per avviare un lungo braccio di ferro contro il Pan e il Pri. La sinistra di Lopez Obrador ha avuto come consolazione la vittoria nel Df, ovvero il distretto federale di Città del Messico. Il candidato di sinistra Miguel Angel Mancera ha ottenuto più del 60% dei voti e ha mantenuto la capitale in mano all'opposizione progressista che la governa ininterrottamente dal 1997.
Pea Nieto ha dichiarato che «rinnoverà l'economia di mercato, con attenzione al sociale, in modo da generare ricchezza e occupazione». Ma questi sono solo slogan. Una delle sfide più difficili sarà rilanciare un'economia fiaccata dalla concorrenza cinese e soprattutto dalla crisi economica americana. Le maquiladoras, fabbriche di assemblaggio diffuse in tutto il Messico, ma soprattutto lungo il confine con gli Stati Uniti, hanno registrato un drammatico crollo della produzione.
Inoltre la tanto annunciata privatizzazione di Pemex, l'industria energetica nazionale, non si è realizzata e gli ostacoli non saranno affatto facili da superare. Ma la vera, grande battaglia sarà quella rivolta al narcotraffico. Lì si annidano i poteri occulti del Paese. Nei giorni scorsi i Caballeros Templarios, organizzazione criminale dello Stato di Michoacan, sulla costa Pacifica meridionale del Messico, hanno lanciato un messaggio minaccioso alla classe politica locale, chiedendo di «compiere quello che promettono portando avanti progetti educativi e culturali». A tutto il resto, secondo il codice mafioso dei trafficanti di droga, penserà l'industria dei narcos.
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