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Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2012 alle ore 09:02.

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LONDRA. Dal nostro corrispondente
«Il tempo dei rimorsi è finito». La performance inalberata un anno ai Comuni da Bob Diamond rischia di essere l'epitaffio su una storia professionale a tratti decisamente gloriosa. La stagione dei ripensamenti per i banchieri crediamo che stia solo per cominciare, ma limitarsi all'evidente inclinazione di Bob l'americano per gaffe in punta d'arroganza, sarebbe ingiusto. Sessantuno anni, sposato, tre figli, srodato nei desk di Morgan Stanley e Credit Suisse, dal 1995 in Barclays, Bob Diamond non ha solo una passione per i New England Patriots e per il Chelsea football club, non ha solo un'ottima mano giocando a golf con un handicap ben al di sotto del 10, ma un fiuto straordinario per i transformational deals , ovvero quelle operazioni capaci di cambiare la struttura di un istituto. Dopo aver fatto crescere BarCap, il cotè di investment banking nel cuore di Barclays, ha concluso la mutazione della banca britannica nel momento più cupo della storia della finanza. Si prese le attività americane di Lehman mentre Lehman precipitava e le iniettò nel corpo di un istituto che stava plasmando a sua immagine. Un deal chiuso mentre concorrenti storici, come la scozzese Royal Bank si presentavano cappello in mano al Tesoro per ottenere finanziamenti che le avrebbero ridotte in appendici dello Stato. Barclays dribblò la nazionalizzazione grazie all'intervento di investitori del Golfo, il merito in quel caso fu attribuito più a John Varley ceo del gruppo che non all'investment banker. Ma, tant'è, questa era Barclays. Da oggi è un'altra cosa. Con Bob Diamond se ne è andato anche Jerry del Missier il direttore generale, l'uomo che diceva dove fissare l'asticella del Libor. Trema Rich Ricci, il numero uno di BarCap: non potrà essere lui, né nessun altro dell'investment - eccezione fatta per Robert Norris head delle attività asiatiche molto stimato e fuori dalla mischia - a pilotare la banca in questa fase. Barclays cambia pelle e torna a guardare al retail e all'attività commerciale se sarà davvero Anthony Jenkins il prossimo ceo. I rumors indicano lui, schivo responsabile dell'attività bancaria cosiddetta tradizionale, se la scelta dovesse essere interna. Ma gli analisti dicono e suggeriscono di guardare fuori. «È l'unico modo - argomentano numerosi osservatori - per ricostruire l'immagine della banca». Altri (Simon Johnson docente del Mit) va più in là accusando l'intero board. Marcus Agius sta lavorando per la successione e crediamo debba fare in fretta perché il clima, là fuori, è infuocato nella fredda estate della City. Una credenziale crediamo sia necessaria per il successore di Bob: abitudini più morigerate in termini finanziari. Nella notte trattava la buonuscita che, francamente, non dovrebbe essere priorità nemmeno per lui assiso com'è su un patrimonio molto superiore ai 100 milioni di sterline.
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