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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2012 alle ore 06:38.

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ROMA
Gianfranco Fini contro Renato Schifani. Il presidente della Camera che definisce «inaudito» il comportamento del suo omologo al Senato. Uno scontro istituzionale senza precedenti che vede coinvolte la seconda e la terza carica dello Stato. In gioco è la composizione del Cda Rai. Fini accusa Schifani di aver voluto truccare il voto della commissione di Vigilanza, consentendo al Pdl di sostituire, a urne già aperte, il senatore dissidente Paolo Amato che aveva espresso il suo sostegno per un candidato (Flavia Nardelli) non appoggiato dal partito di Silvio Berlusconi.
Il posto di Amato (vicinissimo a Giuseppe Pisanu) è stato infatti assegnato a Pasquale Viespoli, ex finiano tornato alleato del Pdl con il gruppo Coesione nazionale che aveva rivendicato un seggio in Vigilanza. Posto che Schifani ha deciso di assegnargli proprio ieri.
Una coincidenza ritenuta temporalmente sospetta. Anche perché l'intervento del presidente del Senato è giunto al termine di una mattinata nella quale il Pdl – dopo la dichiarazione a sorpresa di Amato – aveva annunciato le dimissioni del senatore dal gruppo parlamentare e dalla commissione. Dimissioni che invece Amato ha smentito. «Prendiamo atto che ha cambiato idea. Ma le sue dimissioni le aveva annunciate davanti a testimoni», controreplicano Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, capogruppo e vicecapogruppo del Pdl al Senato, i quali accusano il senatore di aver partecipato al «complotto».
L'intervento di Schifani arriva dopo tutto questo. Si parla di un pressing di Silvio Berlusconi, che l'altra sera aveva già manifestato irritazione per i movimenti dei pisaniani sia sulla Rai che sulle riforme. Ma il presidente del Senato sostiene di aver solo dato seguito alla richiesta di Coesione Nazionale presentata a metà giugno. «Schifani ha ravvisato l'urgenza di intervenire solo oggi perché era chiaro che la libertà di voto del senatore Amato avrebbe determinato un esito della votazione non gradito al Pdl? Se così fosse, saremmo in presenza di un fatto senza precedenti e di inaudita gravità politica», scrive in una nota Fini, invitando la seconda carica dello Stato a «chiarire».
Invito che gli era stato già rivolto anche da Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini che hanno definito «incredibile», «lunare» la decisione del presidente del Senato e chiedendo al governo di intervenire anche attraverso il commissariamento della Rai.
Schifani però si difende: «Sono sereno e tranquillo, ho solo fatto rispettare le regole, impedendo che la Commissione di vigilanza compisse atti viziati da illegittimità». Con lui si schiera tutto il Pdl. «Non accettiamo alcuna critica – replica il segretario del partito Angelino Alfano -, a maggior ragione da parte di chi, in pieno esercizio del suo alto ruolo istituzionale, ha fondato un partito». In molti ricordano il caso di Riccardo Villari, che il Pd ripudiò dopo che aveva sostenuto una posizione contraria a quella del partito.
La vicenda ovviamente è seguita anche dal Quirinale. Non ci sono conferme ufficiali ma sia Fini che Schifani hanno preventivamente manifestato al Colle quanto di lì a poco avrebbero espresso pubblicamente. E lo stesso hanno fatto anche i principali esponenti politici e istituzionali coinvolti. Giorgio Napolitano per il momento preferisce tacere. Il Presidente assiste con preoccupazione al braccio di ferro in corso tra i vertici parlamentari, acuito anche dallo stallo sulle riforme istituzionali. Anche il Governo tace. Monti con l'indicazione di Anna Maria Tarantola alla presidenza e Luigi Gubitosi direttore generale aveva ritenuto esaurito il suo compito. Ora però la situazione richia di precipitare e di riacutizzare le tensioni, mai sopite, all'interno della sua maggioranza. Nel Pdl il nervosismo è ai massimi livelli, come dimostra il mancato passaggio alla Camera di Berlusconi per la fiducia a Elsa Fornero.
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LE REGOLE SULLA SOSTITUZIONE IN VIGILANZA

No a sostituzioni temporanee
Sono poche le righe del regolamento della commissione di Vigilanza Rai dedicate alla sostituzione di un suo membro, come avvenuto ieri tra Paolo Amato del Pdl e Pasquale Viespoli di Coesione Nazionale
All'articolo 3 si prevede che «in caso di dimissioni, incarico governativo e cessazione dal mandato i membri della Commissione sono sostituiti» e «non sono ammesse sostituzioni temporanee».
La composizione
La Commissione - dice l'articolo 2 - «è composta di venti deputati e venti senatori nominati dai Presidenti delle due Camere del Parlamento, sulla base delle designazioni effettuate da tutti i Gruppi parlamentari e in maniera da assicurarne la rappresentanza proporzionale». La decisione del presidente del Senato Renato Schifani, contestata dal centrosinistra, è stata presa proprio «alla luce del ricalcolo proporzionale dei 20 seggi spettanti ai gruppi costituiti presso il Senato». In caso di passaggio di uno dei membri della Commissione ad un altro gruppo la sua sostituzione non è automatica

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