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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2012 alle ore 06:40.

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TRIPOLI. Dal nostro inviato
Guardando ai precedenti, in Tunisia e in Egitto, il principio di causa ed effetto a cui la primavera araba aveva abituato il mondo - ovvero che le prime elezioni democratiche dopo il crollo dei regimi dovessero sancire il trionfo dei partiti islamici - in Libia non sembra aver funzionato.
Anche nell'ex regno di Gheddafi il partito sostenuto dall'efficiente macchina elettorale allestita dai Fratelli musulmani - Giustizia e Costruzione - era accreditato alla vittoria. I risultati preliminari diffusi ieri hanno invece confermato la netta affermazione dell'Alleanza delle forze nazionali, il movimento "laico" e liberale composto da 60 partiti guidato dall'ex premier del Consiglio nazionale di Transizione, Mahmoud Jibril
Nello storico voto di sabato - le prime elezioni multipartitiche libere dal 1952 - oltre 2,8 milioni di libici sono stati chiamati alle urne (l'affluenza è stata del 60-65%) per scegliere i 200 membri (80 designati dai partiti e 120 indipendenti) dell'Assemblea nazionale, l'organo legislativo che dovrà nominare un nuovo premier e un nuovo Governo e forse, ancora non è chiaro, designare una commissione per scrivere la nuova Costituzione.
L'affermazione del movimento di Jibril è stata in parte una sorpresa. Perché rispetto all'Egitto, e alla laica Tunisia (ma anche a Marocco e Algeria), la Libia è il Paese con la società più conservatrice e tradizionalista della sponda meridionale del Mediterraneo. Ma è come se, con questo voto, i libici avessero voluto mostrare la loro spiccata vocazione a essere parte di una regione (Mediterraneo in arabo significa "il mar bianco che sta nel mezzo") di cui si sentono parte integrante e in stretto contatto con i Paesi europei.
I dati diffusi ieri dalla Commissione elettorale, per quanto preliminari, quindi non sufficienti, sono senza appello: a Janzour, nella periferia di Tripoli, (89% dei voti scrutinati) l'Alleanza ha ottenuto 26.798 voti, 11 volte di più di Giustizia e Costruzione. Nella circoscrizione di Zlitan, vicino a Misurata, 19.273 le preferenze ai moderati di Jibril, solo 5.626 quelle per i Fratelli musulmani (74% dei voti scrutinati). A Misurata, terza città della Libia, si è invece registrata la netta affermazione dell'Unione per la patria, una formazione guidata da una personalità locale, seguita da Giustizia e Costruzione. Ma a Tripoli l'affermazione di Jibril è data quasi per scontata.
Un'altra sorpresa è stata la disfatta dell'altro partito islamico, al-Wattan, sostenuto dal Qatar e guidato dal salafita Abdel Hakim Belhaj, l'ex capo militare delle milizie di Tripoli ed ex combattente in Afghanistan. Qualcosa è andato storto, perché a Tripoli la macchina elettorale di al-Wattan era quella che aveva impressionato di più. Legittimo pensare che i libici non abbiano apprezzato il sostegno del Qatar – per molti di loro un'ingerenza esterna in affari di politica interna – e di conseguenza l'abbiano punita.
Mahmoud Jibril si è comunque confermato un abile tessitore. E, una volta appreso di essere in netto vantaggio, da scaltro politico ha subito aperto a una maggioranza multipartitica: «Rivolgiamo un onesto appello per un dialogo nazionale a riunirsi tutti in una coalizione, sotto un unico striscione. Nelle elezioni di ieri non c'è stato perdente o vincitore. Chiunque abbia vinto, è la Libia la vera vincitrice».
La cautela resta d'obbligo. I dati definitivi – nei prossimi giorni - permetteranno di comprendere meglio il nuovo assetto politico dell'Assemblea, che dovrebbe rimanere in carica per circa 18 mesi Anche perché 120 dei 200 seggi sono riservati a una nutrita schiera di candidati indipendenti, che non è ancora del tutto chiaro con chi si allineeranno. In teoria la coalizione di Jibril dovrebbe essere più filo-occidentale, quindi avviare un'economia più aperta al libero mercato, e più favorevole all'ingresso delle compagnie straniere. E in cui la sharia (la legge coranica) non sia la fonte esclusiva della Costituzione, come chiedevano i gruppi islamici meno moderati.
Ma la divisione tra laici e islamici è fuorviante. Lo stesso Jibril, apprezzato da molti libici per essere un fervente musulmano, ha rigettato l'etichetta di secolarista e liberale. Anzi, ha sempre insistito che la sharia è uno dei principi su cui si regge il suo movimento. Forse anche per questo ha raccolto un tale consenso.
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ARIA DI VITTORIA

Invito al dialogo
Mahmoud Jibril, un tempo ministro per l'Economia di Muammar Gheddafi, si è unito all'opposizione ed è stato primo ministro per la nuova Libia durante la rivolta contro il raìs. Alle spalle studi di scienze politiche negli Stati Uniti, è alla testa di una coalizione di 65 partiti liberali, l'Alleanza delle forze nazionali. In testa in diverse circoscrizioni, secondo i risultati parziali che si dovrebbero completare nel giro di tre giorni, Jibril ha lanciato alle altre forze politiche in corsa per i seggi della nuova Assemblea nazionale la proposta di formare una grande coalizione, ottenendo per ora risposte cautamente positive.

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