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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2012 alle ore 06:40.

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La Corte suprema ha deciso di lasciare chiuso il Parlamento che il presidente aveva ordinato di riaprire, che i militari volevano fermare e che i giudici avevano sciolto. L'assemblea dunque resta chiusa. O forse riapre oggi. Effettivamente le cose non sono chiare in Egitto e resteranno così fino a che non sarà costituzionalmente definito chi comanda.
Sembra una prova di forza di Mohamed Morsi dei Fratelli musulmani, neo eletto capo dello Stato. Alla quale l'apparato dello Stato - il Consiglio supremo delle forze armate, lo Scaf, e la Corte costituzionale - ha risposto con uguale determinazione. La Casa Bianca che sta investendo molto sulla transizione egiziana, almeno politicamente, invita le parti «a rispettare i principi democratici». Ma anche a Washington faticherebbero ad essere più precisi. È il secondo grande dilemma egiziano, conseguenza del primo su chi comandi nel Paese: quali sono le regole da applicare in assenza di testi scritti. È più democratico riaprire un Parlamento eletto o tenerlo chiuso perché la Corte costituzionale, custode della democrazia, sostiene che è stato eletto illegalmente?
L'altro ieri Mohamed Morsi aveva decretato la riapertura del Parlamento con un apparente colpo di scena. È presidente da poco più di due settimane e ha già emesso 11 decreti. Nessuno dei 10 precedenti aveva distolto gli egiziani dai loro problemi più immediati: la crisi economica, la disoccupazione, gli investimenti. Non c'erano leggi che impedissero al capo dello Stato di prendere una decisione così, né che lo consentissero. Semplicemente, Morsi ci ha provato.
Guidato dal suo capo, il generale Mohamed Tantawi, lo Scaf si era subito convocato in seduta di emergenza. Ma dalla minacciosa assise non sono venute reazioni. Solo ieri pomeriggio i giudici si sono mostrati irremovibili, rispondendo al decreto presidenziale di Morsi. L'assemblea, ha ribadito la Corte, resta chiusa e la decisione presa il mese scorso non merita di essere riconsiderata perché era «definitiva e vincolante». Fine, apparentemente. Ma ieri pomeriggio il presidente del Parlamento conteso, Saad el-Katatni, anche lui della fratellanza, ha spiegato che non avendo potuto riprendere i lavori ieri, l'assemblea riaprirà martedì, oggi.
Sembra un braccio di ferro fra i due veri protagonisti della scena egiziana: fratellanza contro militari. I liberali - è così che sono genericamente chiamate le altre forze di opposizione moderate e di sinistra, laiche e religiose - non hanno scelto di stare dalla parte dei Fratelli musulmani. Forse anche perché il Parlamento smantellato era a grande maggioranza islamista, quasi tutti criticano Morsi per aver preso una decisione ostile alla Corte costituzionale. Secondo il Nobel per la Pace Mohamed el-Baradei, con il decreto presidenziale l'Egitto è passato da «un governo delle leggi a un governo degli uomini». Solo i salafiti, gli islamisti radicali, sono d'accordo con Morsi.
Ma è un braccio di ferro? Il decreto presidenziale non si limita a riaprire il Parlamento. Ammette anche che i suoi lavori saranno a tempo determinato: tra poco una commissione costituzionale fisserà finalmente le regole, poi si vota di nuovo. È la prima volta che i Fratelli musulmani ammettono i limiti temporali del Parlamento nel quale sono maggioranza. Ai pochi deputati islamisti che avevano raccolto il decreto presidenziale, i militari non hanno opposto alcuna resistenza: hanno potuto entrare nell'emiciclo vuoto. A dispetto dell'apparente confronto, ieri c'erano meno militari del solito attorno al Parlamento.
E se davvero c'è un confronto, Mohamed Morsi e Mohamed Tantawi hanno saputo celarlo con grande professionalità. Ieri erano insieme a una manifestazione militare al Cairo: i cadetti si tiravano colpi di karate fra gli applausi del pubblico. Il presidente dell'Egitto e quello dello Scaf conversavano e sorridevano come se sapessero, almeno loro, chi comanda veramente.
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