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Questo articolo è stato pubblicato il 12 luglio 2012 alle ore 08:14.

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Il barometro dei rapporti è sempre stato particolarmente altalenante in questi mesi. Ma ieri, dopo l'affondo del presidente del Consiglio, Mario Monti, sulla concertazione passata tra governi e parti sociali, la distanza tra Palazzo Chigi e i sindacati è tornata a essere siderale. Con la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, che non risparmia un attacco durissimo al professore. «Credo che non sappia di cosa sta parlando - spiega la numero uno di Corso d'Italia -. Vorrei ricordargli che l'ultima concertazione nel nostro paese è quella del 1993: un accordo che salvò l'Italia dalla bancarotta, con una riforma delle pensioni equa, al contrario di quella fatta dal suo governo». Poi rincara la dose. «Prendere lezioni di democrazia da chi è cooptato e non si è misurato col voto è un po' imbarazzante per il futuro democratico del paese».

L'uscita del premier non convince nemmeno il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, che prova però a gettare acqua sul fuoco pur riconoscendo che «non c'è alternativa alla concertazione in nessun paese a democrazia matura e ad economia avanzata». «Bisogna moderare i toni - avverte Bonanni - sia da parte di chi governa, sia delle parti sociali, e collaborare tutti insieme, come è successo in altre stagioni complicate della vita del paese». Più tranchant, invece, il numero uno della Uil, Luigi Angeletti, che bacchetta Monti («apparentemente, come molti, sembra confondere la concertazione con la consociazione») non prima di aver ricordato che «l'Europa consiglia il dialogo sociale come strumento per la crescita, ma il nostro presidente del Consiglio è più realista del re: pensa di poter salvare l'Italia senza preoccuparsi di salvare gli italiani». Mentre Luigi Centrella, segretario generale dell'Ugl, sottolinea «che la cura scelta dal premier per guarire l'Italia è tutta a carico delle persone che rappresentiamo, sarebbe consigliabile usare ben altri toni e parole».

Il giudizio di Monti sulla concertazione, dunque, ricompatta, almeno per ora, i sindacati. E incassa anche le critiche del Pd che, con Sergio D'Antoni, ex numero uno della Cisl, parla di «cattiva ricostruzione della storia italiana» del premier. Mentre il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, va dritto al sodo. «Monti è l'unto del Signore che deve risolvere i problemi della crisi economica» e che, al posto della concertazione, «usa la regola 'ndo cojo cojo senza rendersi conto che così non si governa ma si fa macelleria sociale». Solo dal Pdl arriva una sponda al presidente del Consiglio. Così prima è l'ex sottosegretario allo Sviluppo, Stefano Saglia, a correre in soccorso del premier sottolineando che «Monti ha ragione: la concertazione è un vecchio rito che non serve nei tempi in cui viviamo».

Poi è la volta di Giuliano Cazzola, vicepresidente della commissione Lavoro della Camera. «Da anni la concertazione è produttiva nella misura in cui c'è il consenso della Cgil. Altrimenti fallisce. Paradossalmente basterebbe al governo sentire solo la Cgil».
A difesa della concertazione, invece, si schiera Giorgio Guerrini, presidente di Rete Imprese Italia. «La concertazione, nel suo significato più autentico, è la strada migliore per trovare soluzioni condivise, utili ed efficaci per uscire dalla crisi».

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