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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2012 alle ore 19:07.

La Siria avrebbe iniziato a spostare parte del suo vasto arsenale di armi chimiche dai siti di stoccaggio. Lo dice il Wall Street Journal citando anonimi funzionari statunitensi americani che rilanciano l'allarme sulle armi chimiche in possesso del regime di Bashar al-Assad, tra cui ampi stock di yprite e gas nervini tipo sarin, VX, fosgene e tabun.
Non è certo la prima volta che un simile allarme appare sulle pagine dei giornali americani sempre grazie a indiscrezioni filtrate da ambienti militari o governativi. Il 21 giugno il New York Times riferì del crescente ruolo della Cia nel supporto ai ribelli siriani e nel mantenere sotto controllo i depositi di armi di distruzione di massa. Non solo per il rischio teorico che gli uomini di Assad possano impiegarle contro i ribelli ma soprattutto per il pericolo che i gruppi estremisti islamici che compongono parte della galassia dei movimenti insorti, inclusa al-Qaeda, possano mettere le mani su armi che avrebbero effetti devastanti se impiegate pere scopi terroristici.
Il generale Martin Dempsey, il capo di stato maggiore delle forze armate statunitensi, disse in quell'occasione alla commissione Difesa del Senato che fra le opzioni militari prese in vi sono piani per l'intervento di una coalizione di truppe straniere che provveda a mettere in sicurezza i considerevoli stock di armi chimiche e biologiche in possesso del regime di Damasco, se l'estendersi della guerra civile dovesse comprometterne la sicurezza.
Pochi giorni prima il Times aveva rivelato che forze speciali e intelligence britannici, americani, israeliani, giordani e turchi erano pronti a intervenire in Siria dai confini turco e giordano per assicurarsi il controllo dei depositi di armi chimiche in caso di collasso repentino dei lealisti. Una fonte britannica disse al Times che i siti sono tenuti sotto "stretta osservazione" (probabilmente con l'impiego di satelliti e velivoli teleguidati) e che il governo siriano li "sta proteggendo in modo responsabile".
Nell'ultimo mese la situazione potrebbe essere peggiorata anche se il governo siriano ha negato di aver spostato l'arsenale, parlando di notizie ''ridicole e false'' e del resto trasferire agenti nervini in quantità elevate richiederebbe grandi convogli ed eccezionali misure di sicurezza giustificate solo dal rischio che i depositi possano cadere in mano ai ribelli. ''Il regime ha un piano per una pulizia etnica - ha detto un funzionario americano - per questo non esiste una soluzione diplomatica'' alla crisi. Un'opinione simile a quella dei leader della rivolta secondo i quali aumentano di giorno in giorno i segnali che indicano che Damasco sta tentando di procedere alla pulizia etnica in zone come quelle di Hama e Homs.
L'impiego di armi chimiche da parte dei lealisti era stato denunciato dal colonnello Riad al-Asaad, capo dei disertori dell'Esercito Siriano Libero, l'8 giugno scorso ma non furono trovati riscontri, a conferma che questa minaccia viene paventata dagli insorti per sollecitare un intervento militare internazionale contro Damasco. Anche il sottotenente Abdulselam Abdulrezzak, in servizio in un reparti chimico e poi fuggito in Turchia, aveva dichiarato in maggio al giornale Hurriyet che sostanze chimiche sono state usate contro civili durante l'offensiva delle forze di sicurezza a Bab Amr, a Homs. Per Qassim Saadaldin, portavoce militare dei ribelli a Homs, le informazioni d'intelligence in possesso degli insorti confermano che Bashar Assad è pronto a usare armi chimiche o biologiche. ''Se Assad dovesse percepire che il suo potere è in pericolo - ha detto - sarebbe pronto a usare queste armi''.
Le opposizioni siriane hanno già denunciato il ritrovamento da parte dei ribelli di equipaggiamenti in dotazione ai militari siriani che potrebbero servire come protezione da attacchi con armi chimiche. Motivazione un po' debole perché in ogni esercito indumenti e maschere protettive contro gli agenti Nbc (nucleari, biologici e chimici) fanno parte dell'equipaggiamento standard dei reparti militari. L'impiego di armi chimiche in centri abitati è però improbabile sul piano militare e sarebbe una follia per il regime. Innanzitutto nelle città dove è più aspra è la rivolta vivono sunniti vicini ai ribelli ma anche alawiti e cristiani che sostengono il governo.
Pur avendo subito forti perdite (stimate in oltre 4 mila caduti in un anno e mezzo) i lealisti possono sconfiggere gli insorti impiegando armi convenzionali e del resto l'eco dei massacri compiuti con armi chimiche non sarebbe militarmente risolutivo e determinerebbe dure accuse internazionali contro Damasco. Simili a quelle che isolarono il regime iracheno di Saddam Hussein dopo la strage di curdi a Halabja effettuata nel 1988 con i gas nervini. Secondo indiscrezioni di fonte russa mai confermate proprio il dittatore iracheno avrebbe trasferito in Siria i suoi arsenali di armi di distruzione di massa all'inizio del 2003, pochi mesi prima dell'invasione anglo-americana. Di certo Damasco sviluppò e ingigantì i suoi arsenali di armi di distruzioni di massa a partire dagli anni '80 per compensare le bombe nucleari israeliane. Con l'artiglieria pesante e i missili balistici Scud la Siria (che non ha aderito al Trattato per la messa al bando delle armi chimiche) sarebbe così in grado di mantenere un livello di deterrenza strategica contro lo Stato ebraico potendo devastare molte città israeliane utilizzando armi chimiche prodotte per lo più con tecnologie russe e nordcoreane.
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