Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2012 alle ore 16:20.

Investire sulla formazione degli equipaggi dei mercantili per renderli tecnicamente e psicologicamente in grado di affrontare la minaccia della pirateria marittima. A cinque anni dall'esplosione del fenomeno nelle acque della Somalia e dell'Oceano Indiano, il fallimento delle contromisure adottate dalla comunità internazionale obbliga gli armatori a concentrare gli sforzi sulle capacità di autodifesa con l'imbarco di scorte, tecnici della sicurezza e con l'addestramento degli equipaggi alle norme di sicurezza e prevenzione autorizzate dall'International Maritime Organization.
Un aspetto e un business che interessa anche l'Italia, dove la società Enterprise Shipping Agency ha messo a punto un metodo formativo antipirateria elaborato dal Contrammiraglio Giovanni Galatolo , esperto di sicurezza marittima e già comandante della Centrale operativa nazionale della Guardia Costiera, ideato per integrare gli interventi strutturali di protezione delle navi dagli abbordaggi (difese passive e cittadelle blindate) alle eventuali difese armate dei nuclei militari o di guardie private.
L'iniziativa, che ha ottenuto l'apprezzamento dei sindacati di categoria, si basa sul dato di fatto che la maggior parte degli abbordaggi dei pirati somali sono falliti grazie alla risposta di equipaggi addestrati sia sul piano delle manovre evasive da effettuare, sia delle contromisure di difesa passiva adottata. Sui mercantili in navigazione in acque infestate dalla pirateria sono imbarcabili diversi tipi di protezioni "non letali": dai reticolati sulle murate per ostacolare l'abbordaggio a potenti idranti per impedire ai barchini di avvicinarsi fino a sofisticati cannoni acustici che emettono suoni insopportabili a chi non dispone di cuffie protettive.
Galatolo ritiene che la preparazione degli equipaggi ad affrontare questa minaccia si integri con le altre misure adottate dalla comunità internazionale quali le scorte e i pattugliamenti affidati alle navi da guerra e l'imbarco di nuclei armati militari o civili. L'obiettivo dei corsi di formazione (della durata di 30/35 ore più i test di verifica) è preparare gli equipaggi al fine di proteggere nave e personale ad evitare abbordaggi e sequestri: il corso base è aperto a tutti i membri degli equipaggi, uno avanzato è riservato agli ufficiali e un terzo è specifico per l'impiego a bordo di forze o consulenti per la sicurezza. La formazione degli equipaggi rappresenta un punto di partenza, certo indispensabile, ma che richiede la periodica attuazione di esercitazioni e simulazioni e l'adozione di equipaggiamenti per prevenire e fronteggiare un attacco pirata, inclusi giubbotti antiproiettile e visori notturni.
Una "militarizzazione" o quasi degli equipaggi mercantili che comporta ulteriori costi per gli armatori italiani che negli ultimi tempi hanno in parte scelto di immatricolare le navi a Malta per poter imbarcare liberamente guardie private armate. Una pratica non ancora consentita in Italia dove i team di protezione della Marina hanno protetto dall'ottobre scorso a inizio giugno 77 mercantili a fronte di 107 richieste da parte delle società armatrici. Del resto le iniziative militari internazionali messe in campo sono finora miseramente fallite anche a causa di regole d'ingaggio troppo limitate che impediscono di "muovere guerra" davvero ai pirati. Nel marzo scorso l'Unione europea aveva mobilitato la sua flotta nell'Oceano Indiano annunciando attacchi contro i barchini e le basi logistiche dei pirati.
Come era facilmente prevedibile, dopo il primo raid nell'area di Haradhere i pirati hanno annunciato che in caso di altri attacchi avrebbero ucciso i marinai prigionieri bloccando di fatto ogni altra iniziativa militare. In questo contesto la protezione diretta dei mercantili ed equipaggi addestrati a gestire questa minaccia restano la migliore garanzia a difesa della nave, dei marittimi e del carico.
©RIPRODUZIONE RISERVATA