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Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2012 alle ore 15:10.

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La Svezia è un Paese che cresce. La crisi dell'euro pesa sulle esportazioni, ma la stima del Pil del primo trimestre del 2012 è di un +1,4 per cento. Anche Stoccolma, però, all'inizio degli anni 90 ha avuto la sua tempesta finanziaria (poi economica) e Carl Hamilton se la ricorda bene, essendo allora il numero 2 del ministero delle Finanze.

«La valuta perse il 15%, il deficit arrivò al 12%, il Pil crollò del 4,4% e la disoccupazione s'impennò», rievoca quest'uomo posato, 66 anni, oggi presidente del Comitato Affari europei del Parlamento. «All'epoca c'era un Governo conservatore che poi perse le elezioni. La spesa fu ridotta, alcune tasse furono alzate, riformammo le pensioni, avviammo le liberalizzazioni, soprattutto creammo un'agenzia per gestire il processo di risanamento del sistema bancario».

Ma l'opposizione?, lo interrompo. Le proteste di piazza? «L'opposizione vinse le elezioni successive senza poi smantellare nulla, anzi. Né i sindacati fecero una guerra senza quartiere perché non c'era altra via. In Svezia l'approccio è quello del consensus: quando si è in crisi, si converge sull'obiettivo comune che è quello di superarla», spiega Hamilton.

Ma l'euro sopravviverà a questa bufera? «Il problema non è la moneta unica, ma il debito. Ci sono Paesi come l'Islanda o la Gran Bretagna che non sono nell'euro eppure sono in difficoltà, avendo accumulato un debito enorme. Stati come la Finlandia, fino a poco fa l'Olanda, la Germania ovviamente, non hanno alcun problema». Quindi? Come si esce da questa impasse? «La chiave, a mio parere, sta nei poteri e nel ruolo della Bce. Oltre che nella volontà di Berlino». (E.D.C.)

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