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Questo articolo è stato pubblicato il 16 luglio 2012 alle ore 13:58.

Paolo Scaroni, il capo dell'Eni, la chiama senza mezzi termini «amputazione». La separazione da Snam rete gas, ovvero la holding che possiede e gestisce tutta l'interfaccia strategica del commercio di gas (non solo il trasporto attraverso i grandi tubi, ma anche lo stoccaggio e la distribuzione) è cosa fatta. Tant'è che questa mattina l'Eni si è perfettamente allineato al decreto sulla separazione spianando la strada all'egemonia in Snam della Cassa depositi e prestiti. Procedendo come d'accordo ad un maxi-annullamento di azioni proprie, per far salire intanto la quota di Cdp e del Tesoro nel cane a sei zampe, favorendo così il finanziamento del passaggio di proprietà di Snam.

Amputazione forse opportuna. Purché naturalmente sia ben fatta, lungo un percorso coerente che lo Stato e per esso il Governo devono altrettanto naturalmente garantire. E qui Scaroni non evita di levarsi un sassolino (o forse un macigno) dalla scarpa. Spetta ora a Cdp il compito di valorizzare e rafforzare Snam. E intanto spetta all'Eni il compito di liberarsi al meglio della residua partecipazione del 25% in Snam, visto che Scaroni ha già detto (magari per ripicca) che intende uscire del tutto, senza neanche tenere quel 5% che gli sarebbe concesso.

Ebbene, quale può essere la scelta assolutamente controproducente e disgraziata che un Governo può fare per ostacolare proprio l'operazione di riassetto proprietario e "valorizzazione"? Eccola, nero su bianco. Per iniziativa diretta del Governo, fortunatamente abortita seppur in "zona Cesarini": la norma, inserita nella penultima bozza del decreto sulla spending review appena varato, che prevedeva oltre un anno e di blocco assoluto di tutte le tariffe regolate. E quindi anche quelle, nevralgiche per Snam, del trasporto e distribuzione del metano. Chi fosse l'artefice di quell'articolo del decreto spending review non è chiaro. Il Governo, pudicamente, non lo ha fatto sapere.

Scaroni declama con i giornalisti che il solo semplice annuncio della misura ha fatto danni. Ha ragione: ha fornito agli investitori un esempio di incoerenza, di incomprensibile perversione autolesionista. L'esatto contrario di quel che serve: "valorizzare" appunto l'interesse degli investitore con una sufficiente garanzia anche tariffaria sugli investimenti. I tanti investimenti che per una società delle reti sono linfa vitale. Pare non lo abbiano capito, in quel pericoloso momento, persino i "professori". Che almeno capiscano, ora e subito, un'altra cosa.

Nei nuovi equilibri azionari di Snam si affacciano, e questo pregiudizialmente non è un male, i ricchi Fondi Sovrani. «Chi vorrà solo un partecipazione finanziaria può rivolgersi a noi» dice Scaroni riferendosi appunto al 25% di Snam che Eni intende piazzare. «Se avranno ambizioni di Governance sarà questione della Cassa depositi e prestiti». Peccato che a oggi, tra ridimensionamento formale della golden share attuato per ottemperare al dettato della Ue e nuova imbastitura dei diritti di indirizzo e controllo delle infrastrutture strategiche da parte dello Stato, l'orientamento sui poteri da concedere ai fondi sovrani che partecipano alle nostre reti non sia affatto chiaro. Il paese ha certamente bisogno di giuste protezioni. Gli investitori di chiarezza, assoluta.

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