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Questo articolo è stato pubblicato il 16 luglio 2012 alle ore 06:36.

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Finanziarie, manovre correttive, manovre-bis, leggi di stabilità, spending review. Negli anni, la lotta tra la finanza pubblica italiana e la crisi internazionale ha cambiato parecchi nomi: ma come nei videogame evocati più di una volta dall'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti, cambia lo sfondo ma non la sostanza. Le munizioni del nostro bilancio pubblico sono sempre due: chiedere più soldi ai cittadini, o tagliare i fondi a disposizione della macchina pubblica per funzionare e dare servizi. I numeri messi in fila (finora) dalla legislatura della crisi mostrano lo sforzo fatto fin qui dal Paese per rimettersi in sesto: imponente. Quattro anni, dieci manovre, e richieste per 329 miliardi e 520 milioni di euro, per il 55% (cioè 178 miliardi) rappresentato da aumenti di entrate vale a dire, quasi sempre, di nuove tasse.
Un tema, quello della composizione delle manovre, che ha acceso dibattiti scatentati fra i partiti, piuttosto ingiustificati alla luce dei numeri. La composizione del «Salva-Italia» di Natale, che tra Imu, addizionale Irpef e fisco vario è stata bersagliata di critiche per l'eccessivo ruolo giocato dalle tasse, ha una composizione identica alla manovra-bis di Ferragosto 2011, ultimo intervento di peso del Governo Berlusconi: 73% di maggiori entrate, e 27% di tagli di spesa.
Il calcolo
Le cifre complessive sono il frutto degli effetti messi a bilancio anno per anno dai diversi interventi. Non si tratta, tecnicamente, dell'impatto a regime sui saldi di finanza pubblica, ma delle risorse realmente chieste (o non date, sotto forma di welfare, servizi o "costi pubblici") ai cittadini. Per capirci: se una manovra introduce una tassa che porta un miliardo il primo anno, due il secondo e tre dal terzo, l'effetto a regime è di tre miliardi, ma i soldi versati nel tempo dai cittadini ammontano a sei. I ministri dell'Economia guardano il primo dato, ai portafogli delle famiglie e ai conti economici delle imprese interessa di più il secondo.
Le tappe
A gonfiare la montagna di risorse messa in campo nel tentativo di far digerire ai mercati internazionali la massa del nostro super-debito pubblico non sono solo i "valori unitari" dei vari provvedimenti, in otto casi su 10 varati per decreto dai Governi Berlusconi e Monti, ma anche la loro frequenza. Già nel 1992, che rappresenta il (pallido) precedente della tempesta finanziaria abbattutasi sui conti italiani, il Governo Amato varò la celebre manovra «lacrime e sangue» da 48 miliardi di euro (93mila miliardi di lire), che però a quelle vette campeggiò solitaria per anni.
Nel calendario 2008-2012, invece, la manovra equivalente, rappresentata dal primo decreto estivo dell'anno scorso (Dl 98/2011: in questo caso vanno guardati gli effetti a regime), fu seguita a stretto giro dal decreto-bis di Ferragosto, che all'atto pratico si limitò a spianare la strada al «Salva-Italia» di Natale, dopo il cambio di Governo seguito all'approvazione definitiva a novembre della legge di stabilità con la salita di Berlusconi al Quirinale per rassegnare le dimissioni.

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