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Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2012 alle ore 14:53.

Mentre in Kerala si è aperto il processo contro i fucilieri di Marina italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i pescatori indiani sono protagonisti di un altro incidente verificatosi questa volta nelle acque del Golfo Persico ma molto simile a quello che il 15 febbraio scorso coinvolse la petroliera italiana Enrica Lexie.
Ieri un peschereccio indiano lungo nove metri si è avvicinato al rifornitore di squadra della flotta statunitense Rappahannock ignorando i ripetuti avvertimenti a mantenersi a distanza di sicurezza segnalati a voce e con apparati luminosi. Di fatto esattamente quanto accaduto con la Lexie e, come in quel caso, i security team della Us Navy hanno aperto il fuoco non con le armi leggere calibro 5,56 millimetri utilizzate dai fucilieri Latorre e Girone ma con una mitragliatrice pesante Browning calibro 12,7. Un pescatore è stato ucciso e altri due sono rimasti feriti. Il peschereccio ha raggiunto il porto di Dubai dove le autorità degli Emirati Arabi uniti hanno aperto un'inchiesta che affianca quella della Marina statunitense.
L'ambasciatrice statunitense a New Delhi, Nancy Powell, ha parlato telefonicamente con il segretario indiano agli Esteri Ranjan Mathan per porgere le sue condoglianze ed esprimere il rammarico per l'accaduto ma fonti militari americane hanno ribadito di aver fatto fuoco sul peschereccio dopo aver lanciato diversi avvertimenti in base alla procedura prevista in questi casi. Misure di sicurezza che nelle acque del Golfo non sono da mettere in relazione alla minaccia dei pirati ma al rischio di attacchi suicidi condotti dai barchini dei pasdaran iraniani che adottano la strategia dello "sciame navale" mobilitando un gran numero di piccole imbarcazioni all'apparenza civili e inoffensive contro le navi da guerra statunitensi.
Una provocazione simile ma senza scontri a fuoco vide nel 2008 il cacciatorpediniere americano Hopper "circondato" da cinque barchini dei pasdaran. Resta il fatto che ai pescherecci indiani capitano spesso incidenti simili vicino o lontano dalle acque di casa. Eventi determinati spesso dal fatto che i comandanti non conoscono o comunque non rispettano le regole adottate a livello internazionale per garantire la sicurezza delle navi civili e militari. L'anno scorso a un convegno sulla sicurezza marittima tenutosi in Oman un ufficiale della guardia costiera indiana riconobbe che la sua organizzazione aveva non pochi problemi a far rispettare le regole di sicurezza della navigazione alle barche da pesca.
Resta da vedere se l'india adotterà con Washington lo stesso metro di misura applicato con Roma chiedendo l'estradizione dei marinai della Rappahannock che hanno aperto il fuoco contro il peschereccio per processarli per omicidio, tentato omicidio e associazione a delinquere. La vicenda offre anche una lezione alle autorità italiane almeno sul fronte della comunicazione. Il Pentagono ha subito reso nota la dinamica dei fatti fornendo persino i dettagli sul calibro delle armi impiegate.
Dopo l'incidente della Enrica Lexie il Governo italiano non solo non disse nulla ma invitò persino i media a mantenere un basso profilo sulla vicenda. Ancor oggi Roma non fornisce dettagli e soprattutto non argomenta la difesa di Latorre e Girone con l'applicazione delle procedure di sicurezza comuni a tutte le navi del mondo ma si limita a contestare presso la Corte Suprema di Nuova Delhi la giurisdizione indiana sull'accaduto. Nell'udienza di oggi il giudice di Kollam, PD Rajan, ha rifiutato la richiesta della difesa di tradurre in italiano il fascicolo con i capi di imputazione. Gli avvocati dei due militari, ha sostenuto il giudice, conoscono bene sia la lingua del Kerala, il malayalam, sia l'inglese. Il magistrato ha poi aggiornato l'udienza al 25 luglio.
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