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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2012 alle ore 19:32.

È il diciottesimo anniversario dell'attentato contro la sede della comunità ebraica di Gerusalemme, a Buenos Aires; tre anni fa gli israeliani uccisero a Damasco il capo della sicurezza di Hezbollah; a Teheran il Mossad ha eliminato più di uno scienziato impegnato nel programma nucleare iraniano; un paio di settimane fa gli israeliani avevano ucciso dei miliziani palestinesi di Gaza, dopo che da Gaza era partita una banda di terroristi. O hanno ucciso sette israeliani (il bilancio è provvisorio) solo perché erano israeliani.

Il terrorismo di matrice islamista, non ha bisogno di scadenze o avvenimenti da celebrare, per entrare in azione. Ma con gli israeliani, al Qaeda o Hezbollah o gli agenti iraniani o Hamas palestinese (i candidati sono sempre numerosi), i terroristi di solito rispettano certi riti di morte che con altri non hanno. Come se per loro la questione d'Israele fosse una faida senza fine.

Negli attentati che hanno gli israeliani come obiettivo, ci sono molte piste. Ma una cosa accade sempre. Non appena pensa di avere individuato mandanti ed esecutori, Israele interviene per eliminarli. È una legge ferrea anche se non scritta, in vigore da molto prima dell'attentato alle Olimpiadi di Monaco di Baviera, nel 1972.

Se fossero i palestinesi, il luogo della punizione sarebbe la solita striscia di Gaza: le conseguenze si conterrebbero dentro quell'angusta barriera. Se gli assassini fossero venuti da altri luoghi di un Medio Oriente così infuocato, la questione si farebbe internazionale.

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