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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2012 alle ore 06:38.

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La cronaca degli eventi siriani ha il volto di Giano bifronte. La tv di Stato non accena neppure di sfuggita ai combattimenti nella capitale. L'opposizione annuncia l'Operazione Vulcano, la battaglia di Damasco, l'assalto finale al regime. L'obiettivo è moltiplicare gli attacchi lanciati nei giorni scorsi dai sobborghi per tenere impegnate le forze governative anche nei quartieri centrali e tagliare i collegamenti tra le principali arterie di comunicazione: è l'assedio delle periferie a Damasco, una tattica che è già risultata efficace sulla direttrice Nord, verso Aleppo.
La guerra civile sta cambiando drammaticamente la vita e anche la geografia della Siria con conseguenze che oggi possiamo soltanto immaginare ma che potranno pesare sul futuro del Paese. Le trupppe lealiste lanciano attacchi alle sacche di resistenza ribelli colpendo i villaggi sunniti intorno alle aree popolate dagli alauiti, la minoranza al potere con gli Assad. Questo è stato il motivo del massacro di Tremseh: creare delle zone omogenee, soprattutto nel centro-ovest del Paese, lungo l'asse Homs-Hama-Aleppo dove se cadesse Assad gli alauiti possano costituire delle roccaforti. Per contrastare le forze governative gli insorti hanno scatenato l'offensiva su Damasco al fine di provocare un sentimento diffuso di instabilità anche nella capitale.
Il presidente Assad, secondo i servizi militari israeliani, avrebbe spostato una parte delle sue forze dal Golan verso Damasco. Israele occupa le alture del Golan dal 1967 e sta monitorando con attenzione i movimenti su quello che fu uno dei fronti più caldi del Medio Oriente ma dove da oltre 40 anni non si spara un colpo. La valutazione degli israeliani è che la capacità di combattimento dei lealisti «si sta indebolendo».
I comunicati della guerriglia hanno assunto toni fiammeggianti. «Abbiamo trasferito la battaglia dalla provincia nella capitale con un piano per controllare l'intera Damasco. Possediamo solo armi leggere ma è sufficiente» ha dichiarato un portavoce del Libero esercito siriano, il colonnello Kassam Saadeddine. «Aspettatevi sorprese - ha aggiunto - siamo a un punto di svolta e ci avviciniamo ai centri nevraglici del potere: gli scontri proseguiranno fino a quando l'intera capitale non sarà conquistata». Al terzo giorno di violenti combattimenti a Damasco i ribelli hanno affermato di essere riusciti ad abbattere un elicottero del regime, notizia smentita da fonti militari siriane.
Video degli attivisti e alcune testimonianze dei ribelli descrivevano ieri i primi scontri a fuoco in una delle arterie più centrali di Damasco come Baghdad Street, raffiche di mitragliatrice sono state udite nella piazza dove ha sede la Banca centrale, uno dei punti di ritrovo per le manifestazioni pro-Assad. Si combatte, secondo gli insorti, anche a Midan, lo storico quartiere sunnita a Sud del centro storico.
Mentre l'inviato dell'Onu Kofi Annan incontrava a Mosca Vladimir Putin, dall'estero si levavano le voci dei gerarchi che hanno abbandonato Assad. L'ex ambasciatore in Iraq, Nwaaf Fares, si è fatto intervistare in un lussuoso hotel in Qatar avvertendo che «Bashar è un lupo ferito e potrebbe utilizzare l'arsenale chimico». Alla France Press di Parigi per la prima volta ha parlato il generale Manaf Tlass che ha accusato Assad di «manovrare l'esercito contro il popolo».
Anche i Fratelli Musulmani sono scesi in campo a Damasco dove hanno annunciato che «la vittoria è vicina». A 30 anni dal sollevamento del 1982 tentato ad Hama contro Hafez Assad, padre di Bashar, finito in un massacro con 20mila morti, i Fratelli intravedono una clamorosa rivincita.
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LA CRISI

Inizio a marzo
La rivolta in Siria prende il via nella città meridionale di Deraa, quando la folla scende in piazza per protestare contro l'arresto di 14 studenti, detenuti per aver scritto sui muri uno slogan della primavera tunisina («Il popolo vuole la caduta del regime»). Il 18 marzo, quando la gente marcia nel centro della città dopo la preghiera del venerdì, la polizia apre il fuoco uccidendo quattro persone
La violenza si allarga
Alla fine di marzo le proteste si allargano oltre Deraa coinvolgendo Hama, Homs, Aleppo e infine i sobborghi e il centro della capitale Damasco. I ribelli chiedono le dimissioni del presidente Bashar al Assad
Il bilancio
Secondo fonti Onu più di 10mila persone sono state uccise dalle forze di sicurezza del Governo e 14mila detenute

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