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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2012 alle ore 06:38.

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Riccardo
Sorrentino Una grande delusione. L'assenza di qualunque allusione, da parte di Ben Bernanke, a una possibile terza operazione di acquisto di titoli (il quantitative easing 3) è stata - insieme a un dato di inflazione core non del tutto rassicurante - una doccia fredda per le aspettative degli investitori. Il dollaro non ha potuto fare altro che reagire con un brusco rialzo, che ha spinto l'euro, in pochi minuti, da quota 1,2280 a 1,2187.
Bene. È una nuova prospettiva che si apre, per Eurolandia, che la stessa Fed potrebbe trovare opportuno alimentare: lasciar deprezzare l'euro. Per molto tempo, ogni allentamento della Bce - che, va ricordato, nel 2011 aveva anche tentato una ministretta - è stato, più o meno, preceduto, o annullato, da un'analogo intervento americano. Per molto tempo, dunque, il dollaro e l'euro sono rimasti "agganciati" intorno quota 1,25. Solo le ultime iniziative della Bce - le due operazioni a tre anni, poi il taglio dei tassi - hanno permesso all'euro/dollaro di deprezzarsi (verso le altre valute la moneta comune aveva già perso terreno). Dalla riduzione dei tassi del 5 luglio, l'euro/dollaro ha perso oltre il 2%: nessuna altra valuta - secondo un'analisi di Barclays - ha fatto tanto.
Per qualcuno la flessione è il segno della debolezza di Eurolandia. C'è anche questo, ma il motore principale del calo dell'euro è proprio la politica monetaria espansiva, che il mercato - per una volta - aiuta e sostiene: il deprezzamento aiuta le esportazioni, riduce le pressioni deflazionistiche, fa aumentare il valore delle enormi quantità di assets che le banche di Eurolandia posseggono fuori dell'Unione. Tesse anche una rete di protezione per l'Unione monetaria: «Solo un euro più debole può salvare l'euro», spiega un'analisi di David Woo e Athanasios Vamvakidis di BoA Merrill Lynch, che ricorda quanto l'euro sia ancora sopravvalutato. Soprattutto sul dollaro: è ancora il 45% più forte rispetto a novembre 2000!
Per mostrare quanto un deprezzamento della moneta comune possa essere importante, Woo e Vamvakidis fanno proprio l'esempio dell'Italia: un calo del 20% dell'euro/dollaro - fino a quota uno, quindi, o poco più sotto - «ridurrebbe di quasi metà - spiegano - la perdita di competitività che il paese ha subìto verso gli Usa dall'introduzione dell'euro» (a causa però del costo del lavoro).
Le incertezze globali, spingono Merrill Lynch a mantenere la sua previsione di un euro/dollaro a 1,20, ma ora la banca Usa invita a scommettere, con prudenza, anche su quota 1,10. Anche perché, spiegano gli analisti, persino nel caso - che da ieri sembra più lontano - in cui la Fed lanciasse nuove iniziative, l'effetto sul dollaro sarebbe molto limitato, con i rendimenti americani ormai così bassi.
La Bce potrebbe sfruttare questo spazio che si apre. Con cautela: giocare con i cambi, per una banca centrale, è molto pericoloso. Nessuno si aspetti quindi che Francoforte lanci messaggi troppo espliciti. Una aspettativa radicata per un deprezzamento dell'euro, oltretutto, potrebbe anche spingere gli investitori esterni all'Unione a chiedere maggiori rendimenti per compensare il previsto calo della valuta. La Bce può però - come è suo compito - gestire le aspettative di politica monetaria, lasciando che i mercati facciano il resto. Ora, forse, può persino contare sullo sguardo compiacente della Fed, molto preoccupata proprio delle difficoltà di Eurolandia.
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