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Questo articolo è stato pubblicato il 18 luglio 2012 alle ore 17:05.
L'Egitto è meta di turismo sessuale per i ricchi islamici del Golfo Persico, a caccia di spose bambine per un'estate. La primavera araba, il crollo del turismo, l'aumento della povertà: queste le possibili cause del fenomeno denunciato dal Dipartimento di Stato americano. Mentre il Paese discute se il nuovo presidente Mohamed Morsi finirà per bandire alcol e bikini dalle spiagge, o se il crollo del turismo (-30% nel 2011 rispetto all'anno precedente) basterà a convincere i Fratelli musulmani alla "tolleranza" verso le abitudini occidentali, altri turisti, benestanti e maschi, provenienti dall'Arabia Saudita, Emirati Arabi e Kuwait pagano – calcola il Daily Mail – fino a 3.200 dollari per sposare bambine e renderle schiave del sesso, solo per un'estate. Un mese, due, e poi i turisti tornano nel loro Paese, nei casi più fortunati portando con sé le piccole schiave che diventeranno domestiche. Altrimenti, sciolto il legame, le bambine saranno ripudiate dalla società, soprattutto se incinte, e costrette ad abbandonare il bambino e a prostituirsi.
L'Egitto teoricamente vieta i matrimoni con minori, ma la legge viene aggirata falsificando i documenti per aumentare l'età delle bambine e diminuire quella dei futuri mariti. In questo modo gli uomini si mettono la coscienza a posto rispetto ai vincoli religiosi e, allo stesso tempo, ottengono libero accesso negli alberghi, che in molti casi chiedono alle coppie di mostrare i documenti che attestano l'avvenuto matrimonio.
Nel Paese sarebbero tra i 200mila e il milione i bambini di strada – maschi e femmine – costretti alla prostituzione, alla schiavitù o all'elemosina. Molti finiscono a lavorare in casa di egiziani benestanti; o nei campi, non pagati, vessati psicologicamente e fisicamente; oppure vengono rapiti per lavorare in Giordania; mentre bambine e ragazze diventano mogli "a tempo", in particolare al Cairo, Alexandria e Luxor. In certi casi si tratta di figli di immigrati o rifugiati dall'Asia, dall'Africa sub-sahariana, e in misura minore anche dal Medio Oriente. Donne indonesiane, filippine, ma anche sudanesi, eritree, etiopi e singalesi vengono usate come schiave domestiche: senza tempo libero o salario, vengono loro ritirati i documenti e conducono un'esistenza fatta di violenze fisiche e sessuali che arrivano fino alla tortura. Molti sono rapiti dai beduini del Sinai, mentre tentano di attraversare il confine con Israele: un fenomeno che coinvolge duemila migranti africani ogni mese, stando al rapporto del Dipartimento di Stato americano.
Alcuni di loro sono colpiti a morte dalle guardie di frontiera. In teoria le leggi contro il traffico di esseri umani ci sono. Fino a 15 anni di prigione e multe fino a 33mila dollari. È perseguito il traffico sessuale e il lavoro forzato, con pene che partono dai 5 anni di reclusione. «A causa dell'instabilità politica – spiega il rapporto – e della diminuita efficacia di leggi e tribunali, il governo non ha mai fornito informazioni o statistiche su questi crimini, o sul sistema di persecuzione e investigazione del fenomeno, compreso quello dei "matrimoni estivi". Organizzazioni internazionali e ambasciate hanno più volte denunciato il fallimento di queste politiche e la loro mancata applicazione addirittura nei confronti di ufficiali governativi, inclusi giudici, ministri e leader di governo, che in particolare utilizzano domestici indonesiani nelle loro abitazioni, senza pagarli e abusando di loro anche in senso fisico e sessuale».
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