Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2012 alle ore 06:40.

My24


PALERMO
Come sempre l'appuntamento è lì, in Via D'Amelio. In quel pezzo di strada in cui il 19 luglio del 1992, 56 giorni dopo la strage di Capaci in cui fu ucciso Giovanni Falcone, è stato fatto saltare in aria Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. In quello slargo divenuto ormai simbolo di dolore e sofferenza. Per i palermitani. Per gli italiani che hanno ricordato Paolo in tanti luoghi: a Milano, a Napoli, a Palmi. Per i giovani. Come quelli dell'Agesci finiti nel mirino delle intimidazioni mafiose. Ai giovani si rivolge Agnese, la moglie di Paolo: «Mi rivolgo a voi come ai soli in grado di raccogliere davvero il messaggio che mio marito ha lasciato. Dopo alcuni momenti di sconforto ho continuato e continuerò a credere e rispettare le istituzioni di questo Paese come mio marito sino all'ultimo ci ha insegnato. Non indietreggiando nemmeno un passo di fronte anche al solo sospetto di essere stato tradito da chi invece avrebbe dovuto fare quadrato intorno a lui. Io non perdo la speranza in una società più giusta e onesta».
In via D'Amelio, di fronte al portone del palazzo in cui abitava la mamma di Paolo, c'è il palco, nel luogo in cui tutto è avvenuto. Dietro al muro gli sgherri mafiosi hanno premuto il telecomando: ora è certo, confermato dai pentiti che hanno smentito un balordo di borgata come Vincenzo Scarantino, che da qualche giorno è introvabile. Via D'Amelio nella torrida estate palermitana è piena di gente che vuol sapere, di ragazzi e ragazze che arrivano da ogni parte d'Italia a seguire il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, che da anni chiede verità e giustizia con il movimento detto delle Agende rosse: nel mirino lo Stato che non è in grado di garantire giustizia e verità. Eppure di passi avanti ne sono stati fatti eccome. Lo dice Antonio Ingroia, il procuratore aggiunto che coordina le indagini sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia: «Se questo 19 luglio è diverso da tutti gli altri – dice – è perché, soprattutto grazie a voi e nonostante certi altri, la verità è più vicina. Quando viene costruita a tavolino una verità apparente, allora per smontarla non bastano solo dei bravi magistrati, ma ci vuole un Paese onesto. Non basta abbattere il muro dell'omertà della mafia. Occorre anche abbattere muro di gomma di reticenza delle istituzioni, e per farlo serve un'inchiesta politica seria, sollecitando i rappresentanti delle istituzioni di allora a dire tutta la verità sulla stagione della trattativa che ormai è un fatto certo». Ingroia propone la revisione della legge sui pentiti: «Per consentire a tutti quelli che sanno di quella stagione di parlare. Se la politica vuole dare un segnale forte deve consentire di aprire una nuova stagione». C'è Nino Di Matteo, che oggi indaga sulla trattativa. «Dobbiamo evitare di offrire il destro alle polemiche – dice –, dobbiamo resistere, reagire e continuare con autonomia, indipendenza e coraggio».
E il procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato dal palco ha letto una lettera a Borsellino. «Stringe il cuore a vedere nelle prime file personaggi la cui condotta sembra essa stessa il motivo per cui tu, caro Paolo, ti sei fatto uccidere – ha detto – personaggi dal passato e dal presente equivoco, le cui vite, come dicevi tu, equivalgono a quel puzzo di libertà che tu contestavi. Questuanti e maggiordomi del potere pronti a barattare promozioni di carriera e facili privilegi. Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di concederci un giorno di tregua della loro presenza e di restare a casa il 19 luglio. Ma soprattutto verrebbe da chiedere loro di farci la grazia di tacere: pronunciate da loro, le parole Stato e giustizia si riducono a gusci vuoti e rinsecchiti».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi