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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2012 alle ore 06:39.

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Giorni di amarezza e irritazione per Giorgio Napolitano ma anche di ferma volontà a reagire e far sì che s'imponga la verità. Ha deciso certo con animo non leggero a sollevare conflitto di attribuzione presso la Corte costituzionale. Atto che per il leader dell'Idv Antonio Di Pietro si configura come un attentato alla libertà delle indagini da parte della procura di Palermo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia.

Ora, proprio nel giorno in cui si rievoca a vent'anni di distanza la strage di Via D'Amelio, il presidente della Repubblica affida le sue riflessioni a un messaggio inviato in occasione della commemorazione promossa all'Associazione nazionale magistrati a Palermo. Pesano come un macigno le polemiche sulle intercettazioni che investono direttamente il Quirinale, ma su questo si pronuncerà la Consulta. Quel che preme al presidente della Repubblica hic et nunc è ribadire, citando direttamente quanto ha sostenuto il presidente del Consiglio, Mario Monti, che non vi è alcuna ragion di Stato che possa giustificare «ritardi nell'accertamento dei fatti e delle responsabilità, incertezze nella ricerca della verità specie su torbide ipotesi di trattativa tra Stato e mafia».

Proprio nella convinzione che questo sia il fine da perseguire, occorre «scongiurare sovrapposizioni nelle indagini, difetti di collaborazione tra le autorità ad esse preposte, pubblicità improprie e generatrici di confusione». Napolitano si impegna a vigilare, nella sua funzione di presidente del Csm. Lo farà - annuncia - «come in questi anni con linearità, imparzialità, severità». Alle accuse, ha fatto sapere due giorni fa il suo portavoce, non può replicare direttamente. Lo fa ora indirettamente rivolgendosi ai magistrati di Palermo quando sottolinea la sua appartenza a una generazione «che ha conosciuto la tragedia della guerra fascista e del crollo dell'8 settembre 1943, e ha giovanissima abbracciato l'impegno politico nello spirito della Resistenza trasfusosi poi nella Costituzione». La lotta alla mafia è parte fondante di questo impegno, «senza cedimenti a rassegnazioni o a filosofie di vile convivenza con essa».

A chi lo accusa di ostacolare le indagini dei magistrati sulla trattativa Stato-mafia ricorda che è tornato di recente nei luoghi dell'eccidio di Portella della Ginestra, «per rinnovare un omaggio e un giuramento». Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: ha vissuto in prima persona il dramma, «lo sgomento, il dolore per il brutale assassinio di quei due eroici servitori dello Stato». Li ha vissuti – scrive ancora nel messaggio – insieme «con il più fraterno amico» della sua vita, Gerardo Chiaromonte. E poi il «cocente dolore» con cui apprese la notizia dell'agguato omicida a Pio La Torre e a Cesare Terranova. È il suo modo per rimarcare che da nessuna parte può essergli mossa l'obiezione di non aver iscritto la lotta alla mafia nel suo dna. Oggi Napolitano inconterà al Colle la stampa parlamentare per la tradizionale cerimonia del Ventaglio.

È possibile che torni sulla questione, che pare sostanzialmente racchiusa, almeno per quel che lo riguarda, in questo passaggio: «Si sta lavorando, si deve lavorare senza sosta e senza remore per la rivelazione e sanzione di errori e infamie che hanno inquinato la ricostruzione della strage di via D'Amelio». Quel che conta - aggiunge - è che si deve giungere alla definizione «dell'autentica verità su quell'orribile crimine». Tanto più si riuscirà a vincere questa «dura e irrinunciabile battaglia di giustizia» - conclude - quanto più si procederà «sulla base di analisi obbiettive e di criteri di assoluto rigore».
Ieri a Palermo erano presenti il presidente del Senato Renato Schifani e quello della Camera Gianfranco Fini. Quest'ultimo, rispondendo a un giovane che gli diceva di non avere apprezzato l'iniziativa del Capo dello Stato di sollevare il conflitto di attribuzione con la procura di Palermo, ha detto: «Napolitano è il più convinto sostenitore della ricerca della verità».

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